DEL MONTE TORNA AL GRANDE SCHERMO CON NESSUNO MI PETTINA COME IL VENTO
GENERE: drammatico
DATA DI USCITA: 10 aprile
DURATA: 90’
VOTO: 2,5
Tre solitudini diverse tra loro ma che il destino porta a sfiorarsi per un attimo: Arianna, una scrittrice che ha voluto nascondersi in una sorta di eremo, Gea, la giovane figlia di una giornalista che tenta di rompere la barriera dell’esilio della donna con un’intervista, e Yuri un ragazzo di strada che muove le sue giornate tra labili amicizie e spaccio di droga.
Nessuno mi pettina come il vento, ultima fatica di Peter Del Monte che torna alla regia a sette anni di distanza da Nelle sue mani, è un film asciutto che – non a caso – prende il titolo da un aforisma di Alda Merini e che, come la frase della poetessa, potrebbe dare libero sfogo a molteplici interpretazioni.
Dei tre personaggi chiave della pellicola quello centrale è senza dubbio Gea: lei dà vita all’intero assetto di una trama dove in realtà accade pochissimo, una storia che non scava mai a fondo e che resta, in fin dei conti, un racconto fumoso anche se eccellentemente interpretato dagli attori tra i quali spiccano, anche grazie al rapporto che si crea tra le due figure femminili, Laura Morante e Denisa Andreea Savin.
Due racconti di formazione, quella di Gea e quella di Yuri, alle quali fa da contorno quella di Arianna, salvatrice salvata dal niente di cui si è circondata. Nessuno mi pettina come il vento è questo che vorrebbe essere, allo stesso modo in cui vorrebbe mettere in mostra gli errori degli adulti, contrapponendoli alle conseguenti reazioni dei loro figli, e l’idea che nessuno è un’isola ma il registro ermetico che Del Monte usa non riesce a tirare fuori nulla di tutto ciò.
La potenzialità della pellicola è palpabile fin dalle prime immagini ma la velocità con la quale le storie si concludono in una manciata di azioni, non sempre ben legate tra loro e che lasciano spazio a parecchia incoerenza, non riesce ad andare di pari passo con ciò che avrebbero potuto dire e, alla fine, lo spettatore rimane interdetto per la velocità, e la poca cura narrativa, con cui questo intreccio di vite desolate finisce aprendo l’orizzonte delle stesse alla salvezza.