The Square – inside the revolution: recensione documentario

THE SQUARE, UN DOCUMENTARIO DA OSCAR

the square inside the revolution locandina filmCi sono delle fasi, all’interno della vita di ognuno, che sono rivoluzionarie. La rivoluzione, nel senso stretto del termine, è uno sconvolgimento forzato degli eventi. Non c’è casualità, non c’è continuità, non c’è moderazione. E come a volte è la nostra vita personale ad essere rivoluzionata, altre volte è il corso degli eventi che si impadronisce del destino di nessuno per fare storia. Come quella industriale, quella scientifica, quella culturale, quella tecnologica, o quella che più vi piace, la rivoluzione ha fatto la storia dei popoli che si sono uniti in un fenomeno di massa che ha portato alla capitolazione di governanti, alla fine di ideologie politiche, all’abolizione di forme di governo. Che sia individuale o sociale, la rivoluzione porta quindi ad un nuovo ordine delle cose verso un futuro diverso ma voluto da anime guidate da moti insurrezionali. Nella cronaca estera da qualche anno a questa parte, abbiamo sentito il termine rivoluzione associato alla Primavera araba, termine romantico ed edulcorato che indica sanguinose e infinite guerre civili che stanno attanagliando paesi dell’Africa settentrionale e medio-orientali. Al via dalle manifestazioni di piazza in Tunisia, si sono protratte verso est in un climax di violenza che dal 2011 non ha ancora trovato una fine nella maggior parte di questi paesi.

The Square – inside the revolution guarda da vicino la rivoluzione egiziana, quella conosciuta grazie alle persone di piazza Tahrir che da Gennaio 2011 ancora si battono per un processo di democratizzazione in stile occidentale. Attraverso gli sguardi disincantati ma testardi dei protagonisti di piazza –  in particolar modo di Khalid, Ahmed e Magdy, tre personalità che incarnano figure molto diverse di una piazza che ha accolto un popolo in tutta la sua diversità di pensiero – The Square racconta la storia di un popolo che chiede a gran voce diritti, uguaglianza, libertà d’espressione.

Il punto di forza del film, quello che ne fa un fiore all’occhiello, è la telecamera in spalla della regista Jehane Noujaim che si è armata di coraggio e spirito patriottico per stare in prima linea e filmare e manifestare contro i soprusi di Hosni Mubarak, poi dell’esercito che ha preso violentemente il potere, e infine dei Fratelli Musulmani che in accordo con i militari hanno vinto le elezioni parlamentari e presidenziali con Mohamed Morsi. Perché da quel lontano 25 Gennaio si è infatti passati da un regime fascista ad uno militare, infine religioso. Mentre la storia fa il suo corso, ideali e valori vengono impressi nella mente e nei cuori di un popolo vissuto per anni a testa china, che non riesce a pensare autonomamente, fino a poco fa sicuro che un modo di vivere diverso non potesse esistere.

Come un organo di informazione, la telecamera  registra le violenze degli scontri, i momenti di unione tra rivoluzionari, la felicità del cambiamento, la crudeltà dei potenti, le bugie di chi dovrebbe proteggere i propri cittadini, per portare all’attenzione del mondo la situazione politica degenerata e le ingiustizie, e denunciare i maltrattamenti subiti dalla popolazione. E proprio come uno dei più grandi difetti dei media, anche il documentario The Square non riesce ad essere imparziale, lasciando poco spazio alla voce di chi sta dall’altra parte della piazza. Anche se quel che viene da pensare a fine visione è che forse non è questo l’importante, non è la denuncia della violenza quel che la regista vuole principalmente raccontare.

L’importante infatti, in un contesto come quello egiziano, è aver creato una coscienza di massa che ponga le basi per una cultura del popolo il quale, nei paesi dominati da eterne dittature, non è neanche in grado di capire quale sia la differenza tra la loro struttura politica e sociale e una democrazia moderna. Tutto questo è nelle parole di Ahmed che pronuncia verso la fine del documentario: “noi non cerchiamo un leader perché tutti quelli che sono stati in Tahrir sono leader. Noi cerchiamo una coscienza“.

Curiosità finale: la traduzione del termine arabo “tahrir” vuol dire “liberazione”. Strana coincidenza.. se di coincidenza si può parlare.

 

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