FULL METAL JACKET IL CAPOLAVORO DI KUBRICK CHE HA ESPLORATO L’AMBIENTE MILITARE ESTREMIZZANDONE LE FONDAMENTA
Nel corso della loro breve storia politica e sociale gli Stati Uniti d’America, malgrado tutto, sono riusciti a macchiarsi più volte di terribili atti di guerra. Una di queste macchie indelebili fu in assoluto il Vietnam e la sua fallimentare guerra. Dopo la caduta di Saigon nel 1975, vari registi di livello, fra i quali Francis Ford Coppola e Oliver Stone, hanno provato a raccontare questa campagna militare tramite diverse chiavi di lettura, discriminandone la follia e le insensate perdite umane.
Il cammino verso la redenzione è un percorso interminabile e, dopo i tanti, più o meno, famosi film sul genere, nel 1987 il cineasta Stalney Kubrick, ispirato dalla penna dello scrittore Gustav Hasford, porta al cinema la trasposizione del romanzo Nato per Uccidere.
Full Metal Jacket narra il Vietnam attraverso le esperienze di crescita del soldato semplice Jocker (Matthew Modine). La storia inizialmente si svolge nel campo di addestramento militare dei Marines a Parris Island nella Carolina del Sud, dove le giovani reclute vengono programmate per diventare delle vere e proprie macchine da guerra. Finito il percorso formativo Joker parte per il Vietnam e, approfittando della posizione acquisita come giornalista militare, inizia a riportare gli spietati eventi creati da questo conflitto fino a trovarsi coinvolto direttamente nell’offensiva del Têt nel 1968.
Durante l’arco della prima fase della pellicola si capta una forte vena comica ma totalmente spietata. La disumanizzazione dei ragazzi passa dall’insistente voce del Sergente Maggiore Hartman (Ronald Lee Ermey) che, per mezzo di una psicologia dittatoriale ed autoritaria, trasforma le reclute in assassini nati. Questi Killer del settore non hanno nomi, solamente piastrine di metallo ed i loro nickname nascono da una particolarità fisica o caratteriale. L’estremizzazione di questo lavaggio del cervello visto da Kubrick culmina con l’insanità mentale del povero soldato Palla di Lardo (Vincent D’Onofrio), un moderno Frankenstein indotto dal suo stesso creatore a rinascere come vero uomo ma, come nel libro di Mary Shelley, riesce a trovare la vera pace mentale solamente distruggendo il proprio padre artificiale e se stesso grazie al suo tanto amato fucile M14 carico di liberazione e di pallottole FMJ (Full Metal Jacket da cui il titolo del film).
La differenza sostanziale fra questa e altre pellicole che hanno raccontato tale tragico evento è che Kubrick mette da parte il Vietnam, focalizzandosi sulle realtà del secolo passato e rivelandone le più oscure atrocità umane. Una trama volutamente asciutta che prende forza dall’ironia e dal cinismo di ogni interprete diffamando continuativamente il sistema militare. Le ambientazioni vietnamite e i loro personaggi vengono appositamente trattati con leggerezza ed esplicito scherno, tra l’insana ira di un elicotterista mitragliere che si diverte al tiro al bersaglio e una Marcia di Topolino che echeggia all’interno delle mura decadenti di una città in fiamme.
Solo una mente contorta e geniale come quella Stanley Kubrick è stata in grado scherzare su questo tema che rappresenta una delle pagine più oscure del secolo scorso creando da esso un immortale Cult cinematografico.