Blockbuster Memories: Lo Squalo

LO SQUALO UNISCE PULP E THRILLER HITCHOCKIANO GRAZIE AL GENIO INDISCUSSO STEVEN SPIELBERG

Tra i vari registi ed esperti del mestiere sicuramente spicca il talento del cineasta Steven Spielberg, capace di trattare con i guanti pellicole d’ispirazione letteraria e non solo.

Fra le sue trasposizioni cinematografiche tratte da grandi romanzi si possono ricordare film come Shindler’s List o Jurassik Park entrambi usciti nel 1993, ma è  agli inizi della sua carriera che il giovane regista si afferma nell’olimpo hollywoodiano traendo il soggetto dal best-seller di Peter Benchley, Lo Squalo, e portandolo nei cinema americani durante l’estate del 1975. L’Opera, dall’omonimo titolo del libro, diventa un vero successo ancora prima di essere proiettato grazie all’enorme lavoro di marketing della casa produttrice che, attraverso un asfissiante tam tam mediatico, riesce a far crescere la febbre d’attesa nei fan che, come da copione, fanno la felicità del box-office rimpinguandone le casse. Per questo ed altri motivi bisogna giustamente addebitare a questo indiscutibile Cult anche il titolo di primo vero blockbuster movie.

Amity, località balneare del New England. Lungo le affollate spiagge si diffonde il terrore dovuto alla presenza di un pescecane dalle dimensioni gargantuesche. Il poliziotto Martin Brody (Roy Scheider) insieme all’ittiologo Matt Hooper (Richard Dreyfuss) e al cacciatore di squali Quint (Robert Shaw), decidono di unirsi per uccidere il temibile killer marino iniziando così una caccia spietata in mare aperto.

Il film, oltre ai proficui incassi, si porta a casa ben 3 Oscar rispettivamente nella categoria come miglior montaggio, miglior sonoro e migliore colonna sonora e riesce solamente a sfiorare la quarta grazie alla nomination come miglior film. Proprio l’immersione in questi effetti sonori rende psicologicamente più vicine le ignare vittime allo spettatore, il tutto legato dall’immortale colonna sonora scritta da John Williams che funge da segnalatore ad ogni apparizione dello squalo bianco, accompagnandoci e facendocelo scoprire poco alla volta.

Il trucco cinematografico di Spielberg è quello di rendere completamente anonimo l’animale marino fino alle battute conclusive del lungometraggio, creando una sensazione di ignoto apparente utilizzata come mezzo finale non l’invisibile nemico acquatico, ma bensì il mare stesso in quanto apparentemente infinito nei suoi confini. Così facendo, il cineasta gioca sulla tensione, anche per merito di una certa destrezza hitchcockiana creando un thriller potente che non trova il suo limite nello spavento, ma che metaforizza messaggi di varia natura.

La trama, di fatto, ci racconta l’americano medio in vacanza e sfrutta le giuste leve emotive tramite un improbabile trio formato da un poliziotto fobico dell’acqua, uno studente figlio di papà e un cacciatore di squali ex veterano del Vietnam. Questo voluto paradosso rappresenta la coesistenza di  ceti sociali differenti che collaborano fra di loro per sopperire ad un pericolo comune attraverso la voglia di riscattarsi e dimostrare, almeno in parte, di essere pronti a ricostruire insieme un paese ancora occupato a leccarsi le proprie ferite causate dal contesto storico politico del periodo, simboleggiato da un enorme e affamato squalo meccanico.

 

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