Blockbusters Memories: Batman

IL BATMAN DI TIM BURTON SIMBOLEGGIA IL PASSAGGIO DAL FANTASY SUPEREROISTICO AL CINECOMIC

Negli ultimi anni varie case di produzione hanno formato nuovi universi cinematografici raccogliendo storie tratte dai più celebri fumetti, così facendo anche gli spettatori meno informati hanno iniziato ad apprezzare il genere così detto cinecomic e soprattutto i protagonisti di storie che fino a quel momento erano vivi unicamente sulla carta stampata. Ma se l’albero delle idee è così rigoglioso, vuol dire che la semina passata deve essere stata molto lunga.

Questa nascita è stata comunque travagliata, i primi tentativi si iniziarono a vedere nel 1966 con il film su Batman interpretato dall’allora celebre Adam West, attore che dava il suo volto al pipistrello anche nella serie TV, dando però l’impressione di rappresentare una commedia in costume poco elaborata. Nel 1978 il regista Richard Donner diede il ruolo di Superman a Christopher Reeve dando così alla pellicola un personaggio chiave sul quale sviluppare una serie, che grazie ai primi effetti visivi e ad un’egemonia cinematografica conclusa dopo 9 anni con Superman IV (1987), fece uscire il genere supereroistico dal suo astrattismo donandogli  un po’ più di concretezza.

Il vero rompighiaccio di questo filone cinematografico fu la terza creatura diretta da Tim Burton, il Batman del 1989.

Nell’immaginario burtoniano l’oscura città di Gotham si fonde perfettamente con l’ancor più tetro climax dei personaggi principali. Rabbia, solitudine, vendetta e mistero sono le basi ferree del crociato mascherato creato da Bob Kane, che aiutano le scelte del regista nel trovare un cast perfetto in ogni suo ruolo.

Michael Keaton da vita all’anima tormentata di Bruce Wayne, un uomo cupo, che sceglie un percorso da intraprendere non per dovere morale o per obbligo, ma per la vendetta che fino a quel momento lo ha sempre consumato e spinto alla ricerca dell’inarrivabile giustizia. L’altro lato della medaglia porta il nome del villain Joker, il primo vero cattivo piacevolmente disprezzabile che dietro al trucco da clown nasconde il volto del perfetto Jack Nicholson regalando momenti alternativi scanditi fra una ballata sulle note di Prince e un omicidio a sangue freddo, rappresentando così l’illimitato potere della follia.

Nonostante il netto monopolio del criminale lungo tutto l’evolversi della storia, il regista prova a dare al cavaliere oscuro spessore, oscurità e un insolito tocco di romanticismo, concedendo al protagonista un fittizio amore eterno con la giornalista Vicki Vale (Kim Basinger). Non bisogna poi sottovalutare il lavoro di de-naturalizzazione cinematografica del personaggio principale che, come detto all’inizio,  era stato sempre rappresentato su toni eccessivamente comici, quasi volutamente demenziali. Da comico ed impacciato supereroe voluto da tutti, a sinistro e contraddittorio vigilante mascherato che riesce ad avere la sua luce solamente nelle battute finali del film.

Così Tim Burton ha consegnato ai posteri una pellicola semplice, ma al contempo profondamente articolata per un genere che all’epoca veniva definito fantasy, quando in realtà era il primo vero cinecomic e Cult superlativo.

 

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