KING KONG, CREATO DA WILLIS O’BRIEN, DIRETTO DA MERIAN C. COOPER E ERNEST B. SCHOEDSACK
Il genere avventuroso ed esotico aveva sempre rivestito un ruolo importante nella macchina produttiva di Hollywood sin dalle origini. All’alba degli anni Trenta ottenne però un successo senza precedenti, diventando uno dei filoni più prolifici e redditizi del cinema americano. Un esempio eloquente del fenomeno fu Ingagi (1930), finto documentario di pessimo gusto che pretendeva di mostrare i rituali di una tribù primitiva verso un branco di gorilla, i rapporti tra le donne sacrificate con gli animali idolatrati e il frutto di tali relazioni. Il film incassò cifre spropositate al botteghino, dimostrando che unire bestie selvagge e belle donne ripagava ampiamente le spese.
Sulla scia del guadagno facile si inserì anche la RKO Pictures che, per andare sul sicuro, mise sotto contratto Willis O’Brien e la sua troupe, la stessa che aveva firmato gli effetti speciali rivoluzionari di The Lost World (1925). Il soggetto era già stato proposto da Merian C. Cooper, cineasta esordiente che aveva dimostrato il suo talento per l’avventura dirigendo Chang (1927) e The Four Feathers (1929).
Cooper aveva maturato un interesse per i gorilla dopo aver letto, quand’era ragazzo, Explorations and Adventures in Equatorial Africa di Paul Du Chaillu. Un’altra lettura scientifica, The Dragon Lizards of Komodo di W. Douglas Burden, lo aveva poi portato a concepire l’idea di un combattimento tra un gorilla e un drago di Komodo. Per ultimare la storia mancava solo il fattore umano, e Cooper pensò subito a una donna smarritasi nella giungla (per accontentare quei critici che si lamentavano dell’assenza di romanticismo nei suoi film). Sognò infine una conclusione spettacolare, con la morte del gorilla a New York City.
Per confezionare la sceneggiatura la RKO contattò il celebre scrittore Edgar Wallace. Purtroppo però, prima dell’improvvisa morte, quest’ultimo riuscì a produrre soltanto poco più di cento pagine, ancora ben lontane dall’opera definitiva. Cooper sarebbe poi arrivato a commentare che Wallace era morto senza aver scritto una sola parola, ma il suo nome venne comunque ben evidenziato nei titoli di testa.
Nel 1933 la RKO diede quindi alla luce il suo primo mostro di celluloide, King Kong. La regia venne naturalmente affidata a Cooper, in coppia con Ernest B. Schoedsack. Il risultato andò ben al di là delle prospettive economiche: non solo le finanze della casa produttrice ne trassero gran giovamento, ma la pellicola si impose come una pietra miliare nella storia del cinema. La trama esotica, ricca di avventura e sentimenti, unita agli effetti speciali migliori che l’epoca potesse offrire (stop-motion, retroproiezione, proiezione miniaturizzata e blue screen), offrì al pubblico un’esperienza unica, senza precedenti.
O’Brien diede vita a impressionanti mostri e dinosauri, protagonisti di una serie di incontri ravvicinati durante la missione di salvataggio e di vari attentati alla vita dell’eroina (interpretata da Fay Wray), salvata prontamente da Kong. La sequenza più impressionante fu addirittura tagliata dal montaggio definitivo nel timore che catalizzasse troppo l’attenzione e la memoria del pubblico: precipitati in un burrone dalla furia di Kong, i pochi sopravvissuti trovano la morte tra le fauci di un granchio e un ragno giganteschi, oltre che di un orrendo insetto pieno di tentacoli.