WINDOWS APRE LE FINESTRE SULL’ANIMA MALATA DELL’AMERICA
Il titolo del lungometraggio di Shoja Azari, Windows, non nasconde di certo che il file rouge delle nove storie auto conclusive da cui è composto siano le finestre: la cineasta con il suo lavoro spia la vita di molti personaggi tra i quali spiccano un anziano suonatore di sax che tenta il suicidio, una famiglia disastrata che si urla tutta la sua rabbia, quella di una coppia che dietro il vetro di una macchina si vomita addosso atroci verità, due giovani amanti che discutono e fanno l’amore.
Ma le finestre oltre ad essere vetri trasparenti che danno sull’interno sono anche, e soprattutto, sguardi verso l’interno: ed ecco che tra i brevi corti che compongono Windows dal titolo Camera con vista siamo spettatori di uno stupro consumato alle spalle di una coppia alto borghese alienata dalla televisione: noi lo sappiamo, loro non possono rendersene conto dato che avviene tutto alle loro spalle, lì, dove gira il mondo.
E poi il carcere con le sue grate che si affacciano su muri grigi i quali divengono nella testa di chi sta scontando una pena mondi fantasiosi e a volte disperati che raccontano quel che manca; finestre ma anche occhi specchio dell’anima silente di una madre che vede ma non reagisce all’abuso sessuale di suoi marito nei confronti della loro figlia.
Spesso non esteticamente perfetto Windows è una critica alla società americana fatta attraverso racconti limite dell’amoralità e del nichilismo che la attaglia e nelle origini iraniane della cineasta si trovano le motivazioni della scelta di raccontarne le sfaccettature. Spesso, volutamente, esagerato e a volte per limiti di budget imperfetto, il lungometraggio unisce le brevi narrazioni attraverso un l’animazione di una figura stilizzata che vaga tra mura di mattoni alla ricerca di una luce. Quella stessa luce che le varie umanità descritte nel film non guardano o non trovano una luce che però, ci assicura la Azari, esiste e probabilmente si chiama fantasia.