THE CONGRESS GETTA IL CONCETTO DI IMMAGINE OLTRE LA PERCEZIONE SENSORIALE CON UNA VICENDA CHE PUNTA IL DITO CONTRO LA SOCIETÀ MA CHE FINISCE PER ESSERE SCHIAVA DI UNA NARRAZIONE FIN TROPPO PROLISSA ED ESTETICA
DURATA: 122′
DATA DI USCITA: 12 giugno
VOTO: 2,5 su 5
Oggi, qualsiasi forma d’arte, d’intrattenimento o più semplicemente di bellezza viene trangugiata con famelica enfasi da chi, ormai, è diventato un tutt’uno con la sedia della scrivania su cui siede. Anzi, sarebbe il caso di dire, su cui troneggia. Già perché quando si fanno delle scelte sbagliate, magari a ripetizione, una dopo l’altra, forse incoscientemente ma sicuramente legittimamente, vista l’imprescindibile libertà di decidere, che va oltre qualsiasi tipo di firma, si finisce per essere non solo consumati, ma anche dimenticati e buttati via, come un oggetto ormai inutile, scordando invece la sua imprescindibile importanza, nonché assoluta individualità. Non c’è una soluzione a tutto questo e per di più sembra che il tempo corrente non porti altro che individui usa e getta e, cosa ancora più grave, danno il loro più totale consenso ad essere schiavizzati e abusati, frastornati da un dio denaro a lettera minuscola che brucia e lascia dietro di se solo cenere. E quelli che restano invece al bivio, lottando contro tutto ciò, devono solo scegliere come soccombere e quale foglio firmare per autorizzare la loro morte spirituale, intellettuale e morale. Perché alla fine è solo questione di tempo.
Potrebbe essere questa la storia dell’attrice Robin Wright (interpretata da se stessa) che, dopo una sequela di interpretazioni sbagliate e soprattutto con l’età che avanza, viene contatta dal Jeff (Danny Huston), il direttore dello Studio cinematografico, che le fa la bizzarra proposta di scansionare le sue movenze, il suo corpo e le sue emozioni così da farla rimanere per sempre giovane sul grande schermo, utilizzandola poi a piacimento, per tutti i film che vogliono. Robin Wright, inizialmente restia alla proposta, viene convinta dal suo Manager Al (Harvey Keitel) a firmare la strana proposta. Vent’anni dopo, e con un’industria cinematografica ormai impazzita, l’attrice viene invitata ad uno strano congresso, dove tutto diventa pericolosamente animato, scoprendo una terribile verità.
Ari Folman dopo lo splendido Valzer con Bashir dirige il complesso, architettonico e visionario The Congress. Il film, tratto dal libro Il Congresso di Futurologia, scritto da Stanislaw Lem, è una grandiosa tavolozza di colori suddivisa a metà, in cui si fondono continuamente le tonalità di una realtà visiva che intreccia l’animazione – e quindi provando a tradurre l’enigmatico – alla ripresa quasi documentaristica di una donna che è innanzitutto una mamma prima che un’attrice, fiera di se stessa e dei suoi figli, ma incappata in un futuro che, per l’appunto, la mette davanti ad un bivio pericoloso che le farà perdere qualunque cognizione temporale. La pellicola, con la sua luminescenza dal sapore profondo e quasi religioso, getta il concetto di immagine oltre la percezione sensoriale con una vicenda che punta il dito contro la società moderna, plastificata e senza scrupoli, ma che finisce per essere schiava di una narrazione fin troppo prolissa ed estetica, costipando di elementi una pellicola che spazia dal mistico all’onirico, passando per la complessa strada di un imminente futuro schiavizzato e aberrato. Ecco allora che la sintassi cinematografica in The Congress si sfilaccia, imboccando il sentiero che eleva l’immagine armonica, restandone certamente abbagliati ma, al contempo, perdendo il filo di un fondamentale quanto precario discorso.