IL SILENZIO DEGLI INNOCENTI È UN CAPOLAVORO DEL THRILLER CHE HA PORTATO ALLA NASCITA DI UN ICONICO SERIAL KILLER
Tratto dal romanzo omonimo di Thomas Harris, nel 1991 esce nei cinema Il silenzio degli innocenti secondo film ispirato alla figura del serial killer Hannibal Lecter, diretto da Jonathan Demme.
Dopo Manhunter – Frammenti di un omicidio, pellicola del 1986 girata da Michael Mann, la figura dello psicologo cannibale torna in modo più approfondito e dettagliato nell’Opera di Demme.
La giovane recluta dell’ F.B.I. Clarice Starling (Jodie Foster) viene mandata dal suo superiore a far visita al famoso serial killer Hannibal The cannibal Lecter (Antony Hopkins), ex psichiatra rinchiuso in un carcere sotterraneo di massima sicurezza, in grado di poter comprendere la mente di un assassino chiamato Buffalo Bill (Ted Levine), già imputato di aver scuoiato e ucciso cinque donne.
Oltre all’immediato successo cinematografico la pellicola venne successivamente premiata dall‘Academy Award con ben cinque Oscar, i più pesanti in assoluto: miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura non originale e miglior attore e attrice protagonisti.
La trama di questo splendido film è caratterizzata da due narrazioni differenti che riescono a incrociarsi fra di loro grazie al sostanzioso lavoro di montaggio fatto dal regista. Il lato cruento, violento e animalesco viene lasciato all’antagonista della storia che è libero di sfogare i suoi istinti senza neanche essere intercettato da nessuno fino alle fasi conclusive della vicenda. Questo lato oscuro viene saggiamente dosato dalla seconda narrazione, dove i due protagonisti entrano in contatto fra di loro e dove la violenza figurata lascia spazio ad un ben più maligno contesto psicologico.
Il Dr. Hannibal offre il profilo psicologico del ricercato killer in cambio della totale messa a nudo della psiche di Clarice. L’interpretazione sublime da parte di Hopkins ci mostra la vera voracità del cannibale, che vuole nutrirsi di ogni più piccolo frammento rimosso dall’inconscio della ragazza, regalando una prova unica. Questa irrefrenabile forza viene però contrastata dalla determinazione e la fermezza della poliziotta, che ha la fortuna di essere interpretata dall’ottima Jodie Foster. I due protagonisti creano una danza pericolosa ed è proprio questo ambiguo rapporto freudiano la chiave di volta della storia. Di fatto la pacata irrequietezza del dottore fa pensare se mai fornirà i giusti dettagli alla co-protagonista o se, in un secondo momento, si approfitterà di lei.
Ad ogni incontro i tasselli del mosaico iniziano a tornare al proprio posto, ma la situazione rimane comunque indefinita fino a quando Buffalo Bill, che dovrebbe rappresentare la vera minaccia, involontariamente rapisce la figlia di una senatrice degli Stati Uniti D’America. La scomparsa di una persona non comune porta il mostro nel pieno centro dell’occhio del ciclone e sarà la stessa Clarice, ormai provata dai continui colloqui, a trovare una fine a tutto.
In questa fase conclusiva dei fatti il cineasta riesce ad esprimere tutto il suo valore facendo buon uso del montaggio incrociato e regalandoci un finale al cardiopalma attraverso un’inquadratura soggettiva che da il giusto valore a questo epilogo di grande impatto visivo. La sequenza in questione vede l’agente nella tana del lupo, completamente al buio. Riusciamo a renderci conto di cosa succede attraverso la visuale notturna utilizzata dall’assassino e la tensione diventa sempre più palpabile grazie all’incessante respiro irregolare della poliziotta. Questa oscurità viene improvvisamente interrotta da una rapida sparatoria che per ogni colpo esploso fa letteralmente brillare l’ambiente circostante, fino all’entrata di un fascio di luce causata da una finestra rotta che ci permette di vedere il killer disteso esanime a terra.
“Un tizio che faceva un censimento una volta provò ad interrogarmi. Mi mangiai il suo fegato con un bel piatto di fave e un buon Chianti”: questa celebre battuta dai toni cruenti viene tuttavia resa elegante e diabolicamente leggera dalla deliziosa verve di Sir Antony Hopkins che non è stato in grado di superare neanche se stesso, riproponendo diverse chiavi di lettura del personaggio in malo modo attraverso le successive e dimenticabili pellicole.