LA VITA OSCENA: POESIA MANIFESTO DI DECORATE PAROLE MA SENZA PASSIONE E SOSTANZA
VOTO: 2 su 5
Osceno è vivere con la voglia di morire, osceno è soffrire l’abbandono come un abisso dal quale non si riemerge, osceno è perdere il senso e vendere parole cercando il medesimo, osceno forse non è niente o forse è tutto quando si cerca di risalire.
La vita oscena, film diretto da Renato de Maria e presentato nella sezione Orizzonti della Mostra del Cinema di Venezia, snoda il suo dramma tra poesia e uno pseudo intellettualismo ampolloso e dissonante che, quasi fosse un esperimento deciso a tavolino e fin troppo prestabilito, porta sullo schermo immagini visionarie che finiscono per essere vuote e prive di spessore. Il film prodotto da Riccardo Scamarcio e tratto dall’omonimo libro di Aldo Nove sembra un continuo esercizio, che si perde nel ricercare il suo stesso senso senza raggiungere mai gli obiettivi prestabiliti.
La storia è quella di Andrea, un ragazzo molto legato ai suoi genitori e amante di poesia e parole che mette su carta con spiccata sensibilità. Con la malattia della madre, morta poi successivamente, e la perdita del padre il giovane si ritroverà solo e incapace di vivere. L’unico suo scopo resta morire, una morte troppe volte sfiorata e mai raggiunta. Andrea in sella al suo skateboard si abbandona alla città, ai vizi e a deliranti incontri erotici. Proprio nel cercare il modo per morire il ragazzo troverà invece la formula per rinascere.
In questo strano esercizio di poesia il salvabile è retto dal protagonista, Clement Metayer, che riesce ad essere credibile fornendo un’ottima interpretazione al suo personaggio. Lo stesso non si può certo dire di Isabella Ferrari, che nel ruolo della madre risulta forzata e fuori luogo.
La pellicola non sa bene quale capo indossare e finisce solo per essere un insieme di elementi, che mascherati di eclettismo e innovazione, risultano solamente banali e incompleti. Una poesia che è manifesto di decorate parole senza alcuna passione o sostanza, questo appare La vita oscena.