BRING THE SUN HOME, IL DOCUFILM CHE RACCONTA DI UN FUTURO LADDOVE UN FUTURO (QUASI) NON C’E’
DURATA: 68′
USCITA IN SALA: n.d.
VOTO: 3,5 su 5
Ci sono troppi luoghi nel mondo dove la cultura e l’istruzione non è all’ordine del giorno. Spesso, quando ci riferiamo a posti dove le persone non sono istruite, la nostra associazione di idee le rimanda al concetto di ‘terzo mondo’. Ma non può esserci cosa più sbagliata. I posti più sperduti, quelli meno popolati, poco conosciuti sono spesso l’ombra di grandi nazioni in via di sviluppo, la briciola nell’angolo buio di chi ce la sta mettendo tutta per arrivare nell’economia dei grandi, oltrepassando ogni ostacolo ad ogni costo. In questi paesi remoti, le persone vivono miseramente, senza gas nè elettricità ma dedite ancora alla sussistenza. Che futuro ha questa gente? Con che idea di mondo crescono i loro figli? Addestrati sin da subito a lavorare la terra e a far pascolare il bestiame.
Bring the sun home è la risposta diversa a queste domande, è la possibilità che per ora troppe poche persone hanno di cambiare il loro destino e quello dei loro figli. Il Barefoot Collage è infatti un’organizzazione non governativa creata nel 1972, che si occupa di fornire servizi e soluzioni ai problemi delle comunità rurali sparse nel pianeta. Un’alternativa in sostanza, il cui ultimo obiettivo è niente di meno che il rendere sufficiente gli abitanti del posto nel garantirsi elettricità. La camera di Chiara Andrich e Giovanni Pellegrini mette a fuoco una classe formata da donne portate in India per apprendere un lavoro.
Le lezioni che la stravagante e simpatica classe riceve sono di termini tecnici e montaggio di pannelli solari. E sono proprio queste donne che dopo i 6 mesi di ‘apprendistato’ dovranno tornare nel loro paese ed installare la novità solare nelle case degli abitanti. Un futuro diverso quindi, non a caso al femminile. In un mondo che vuole l’uomo breadwinner, quella possibilità di istruzione viene data alle donne. Uno sforzo non indifferente, non solo per la durata della loro lontananza da casa, ma anche per la lingua diversa – quella che si cerca di utilizzare è l’inglese – e la maturità di persone la cui vita viene completamente scombussolata ad un’età in cui la personalità e la quotidianità delle abitudini si sono già formate. Di una delicatezza sconcertante sono infatti i momenti in cui le donne parlano alla telecamera della loro esperienza, pensando tristemente a ciò che hanno lasciato, a come lo ritroveranno ma consapevolmente determinate nell’apprendere.
Bring the sun home, titolo emblematicamente evocativo, viaggia su due livelli temporali che permettono di provare le sensazioni di queste donne in un ambiente a loro estraneo, la difficoltà del mettersi in gioco ma anche la felicità del vedere un bimbo della loro comunità accendere per la prima volta il pulsante che porta la luce solare nella sua casa. E’ un inno al multiculturalismo, allo smembramento di quelle barriere linguistiche che sembrano muri invalicabili, al provare sempre e in qualunque momento ad inseguire un sogno per il quale sai che hai solo da guadagnare. L’istruzione d’altronde è la linfa vitale dei popoli, perché è solo l’ignoranza della maggioranza che fa arricchire e mandare avanti i pochi fortunati.