EASY RIDER RACCONTA LA VOGLIA D’EVASIONE E L’ILLUSIONE DELLA LIBERTÀ
Giunto ad Hollywood all’età di diciotto anni, l’attore Dennis Hopper iniziava a farsi le ossa prima con la televisione ed in seguito a raggiungere il suo sogno lavorando con il mitico James Dean in Gioventù bruciata nel 1955. Dopo il passaggio all’Actors Studio di New York ed un pò di gavetta a teatro, Hopper tornò ad Hollywood, come regista e attore, con il film Easy Rider nel 1969. Una storia su strada che racconta la libertà alla ricerca della propria identità, mostrando le note stonate di un paese spaccato a metà.
Wyatt “Capitan America” (Peter Fonda) e Billy (Dennis Hopper), dopo aver portato a termine un trasporto di cocaina dal Messico agli Stati Uniti, con il guadagno raggiunto, decidono di mettersi in sella ai loro choppers con l’intento di attraversare il paese per raggiungere il carnevale di New Orleans. Durante questo viaggio i due amici faranno molti incontri di diverso genere e conosceranno il pregiudizio di una nazione bigotta che evita tutto ciò che non è conforme alle regole.
Riconosciuto da sempre come il road movie numero uno nella storia del cinema, Il film viene anche considerato dai più come il precursore della nuova ed ispirata vena artistica di Hollywood, che trova la sua rinascita proprio fra gli anni 60′ e 70′, iniziando così a contrastare la forte influenza delle produzioni cinematografiche europee. La trama vuole esporre il tema classico del viaggio miscelato alla cultura alternativa degli anni ’60, denunciando i fatti discussi del periodo: la protesta Hyppie, l’abuso di qualsiasi droga e il crollo totalitario del mito americano.
Scritto a sei mani dallo stesso Hopper insieme al co-protagonista della pellicola Peter Fonda e Terry Southern, il lungometraggio rappresenta uno dei principali Cult di quei travagliati anni. L’obbiettivo è quello di far vedere tutti i lati della giovinezza e della consequenziale voglia di evadere da un mondo troppo materialista. Si capisce questa estrema voglia con l’introduzione musicale della pellicola che sulle note di Born To Be Wild degli Steppenwolf è un vero inno alla libertà di vita.
Il regista cerca di dare una visione matura alla storia mostrandoci i due lati della medaglia. Il sogno di vivere una vita anarchica fatta di eccessi si infrange su un finale pessimistico, che ci mostra una infelice quanto inspiegabile dipartita dei due protagonisti. Un altro momento simbolo di questo sconforto viene raccontato al raggiungimento di New Orleans, che rappresenta la fine di un viaggio spirituale e il raggiungimento di un obbiettivo. Durante il carnevale i ragazzi decidono di assumere dell’ LSD e questa scelta porterà ad un viaggio psichedelico dove, attraverso dei flash, gli verrà inconsciamente mostrato il totale fallimento della loro impresa.
Oltre ai due protagonisti a proprio agio nel rappresentare il volto nuovo dell’America, c’è da sottolineare la fantastica prova di Jack Nicholson fugace interprete del personaggio di George, sballato compagno di viaggio destinato ad una triste fine. Tecnicamente, oltre all’ottimo lavoro di montaggio, bisogna menzionare una fotografia suggestiva fatta da Làszlò Kovacs e, ovviamente, la straordinaria colonna musicale che include brani dei The Byrds, The Band, Robbie Robertson, Jimi Hendrix, Bob Dylan, Steppenwolf.
Una storia controversa che nel corso degli anni ha lasciato diverse riserve sul sessismo di fondo, sulla sceneggiatura un pò confusionale e l’eccessivo pessimismo di un mondo visivamente opprimente. Nonostante ciò, le lunghe inquadrature totali donate dal regista celebrano una visione della natura ed un rispetto profondo per essa e per l’America.
Un paese differente da quello di oggi, dove a sopravvivere sono solamente quegli splendidi paesaggi citati lungo il percorso e dove sembra impossibile essere realmente liberi per via di un popolo bigotto che era profondamente impaurito dalla concezione della libertà stessa.