IL PASOLINI SENZ’ANIMA E SENZA STORIA DI ABEL FERRARA
DATA DI USCITA: 25 settembre
DURATA: 87’
VOTO: 1,5 su 5
In uno dei suoi articoli scritti alla fine degli anni ’60 dall’America per l’Europeo, Oriana Fallaci descrive Pier Paolo Pasolini come “un Rimbaud (o certi martiri) che vuol sempre tornare all’inferno, ai quartieri dove si rischia un colpo di rivoltella nel cuore, incontri tragici e magari perversi”: in queste poche parole la scrittrice toscana è stata in grado di palesare l’anima del letterato molto meglio di quanto in poco meno di un’ora e mezza di film riesce a fare Abel Ferrara con Pasolini.
Pier Paolo Pasolini è uno degli scrittori, insieme a Bukowski, più citato dai malinconici e da coloro i quali credono che la cultura non sia altro che un susseguirsi di aforismi imparati a memoria. Da un lungometraggio che ha voluto prendersi la responsabilità di raccontare un uomo del quale, in vita e in morte, si è detto tutto, il contrario e poi di nuovo ogni cosa, ci si aspettava qualcosa di più di una mera sequela di frasi note, di interviste ricostruite e reperibili, racchiuse in un’opera didascalica che non è in grado di aggiungere niente a ciò che la storia, i giornali e i testi di letteratura hanno raccontato, scritto e spiegato.
Abel Ferrara dirige con accuratezza un lungometraggio privo di coraggio e di punti di vista che non ha la presunzione di dare opinioni sulla morte, ancora in fin dei conti, circondata dal mistero, di Pasolini ma che invece si prende la responsabilità di dar vita ad alcuni spezzoni di quello che sarebbe dovuto essere l’ultimo film dell’intellettuale, Porno-Teo-Kolossal, fraintendendo e involgarendo senza cognizione di causa ogni passaggio della particolare, onirica e simbolica sceneggiatura.
Sembra un ossimoro eppure, purtroppo, non è una mera figura retorica dire che in Pasolini, Pasolini non c’è: la complessità del suo pensiero, la matrice dell’astruso suo ragionare fuori ogni schema non è affatto ricercata dal regista che ha diretto un lavoro molto simile a un documentario didattico e anche il protagonista, Willem Dafoe, oltre alla somiglianza naturale con Pasolini, non aggiunge personalità alla figura dello scrittore e, anzi, lo svilisce negli atteggiamenti e nelle parole.
C’è il rapporto stretto con la madre, c’è l’omosessualità, ci sono i ragazzi di vita e la capacità di conoscere talmente bene il mondo da poter quasi predire il futuro ma purtroppo, in Pasolini di Abel Ferrara, non c’è l’umanità, l’anima e la storia di quell’uomo dai giudizi radicali che il tempo ha confermato essere sentenze.