JOYSTICK È UN PERSONAGGIO AI MARGINI METAFORA DI UN PRESENTE SEMPRE PIÙ DECADENTE
Nirvana è un film particolare, o si ama o si odia. È l’eccezione del cinema italiano, primo vero caso di film di fantascienza nel nostro paese. Ed è l’eccezione della produzione di Gabriele Salvatores. Credo che a un certo punto della propria carriera si abbia voglia di cambiare, esplorare, anche soltanto provare a fare qualcosa di diverso. Secondo me, Salvatores non solo ha provato, ma è riuscito: ha messo da parte la sua formazione per creare qualcosa che nel nostro paese non si è mai visto.
Gli spazi sono stati costruiti ad hoc, servendosi anche dell’aiuto di effetti speciali e computer grafica, ancora oggi rari nei film italiani. Per creare da zero Agglomerato del Nord è stata riqualificata un’intera zona di quasi 150 mila metri quadrati. È nata una città su cui nevica sempre, in un futuro che oggi per noi è il passato. Correva l’anno 1997 quando uscì il film, ambientato in un fantomatico 2005.
Fra le interpretazioni del cast, ho sempre pensato che quella di Sergio Rubini si distinguesse. Rubini è più di Christopher Lambert, è più di Diego Abatantuono. Il suo personaggio, Joystick, è il migliore degli hacker, ma senza soldi e con molti debiti, che accompagna Jimi in un viaggio nei bassifondi della periferia della città. Si vende le cornee per bisogno, i trafficanti di organi non mancano mai, e gli vengono installate due videocamere nelle orbite oculari che gli permettono però di vedere solo in bianco e nero.
È stato sfortunato, è un emarginato, eppure è dotato di sarcasmo e ironia. Fa ridere ascoltare un personaggio di un film futuristico parlare con un pesante accento barese, ma questa nient’altro è che una metafora di un presente che ancora oggi viviamo, quello in cui il sud tende sempre a essere messo da parte. E Joystick lo è, è ai margini.