ROY ANDERSSON MESCOLA LETTERATURA E TEATRO NELLA SUA OPERA COMICO-PESSIMISTA
GENERE: surreale
DURATA FILM: 101 minuti
USCITA IN SALA: 19 febbraio 2015
VOTO: 3,5 su 5
Come si può riflettere sull’esistenza stando poggiati su un ramo di albero? Se lo chiede anche Roy Andersson, che ci si identifica, in quel piccione, lassù, ad osservare un’umanità tristissima e disunita che col sorriso beffardo ricambia il saluto. Goteborg, città della Svezia, punto d’incontro del nord Europa di ieri, oggi e probabilmente anche domani, la commedia diventa simbolo di speranza, quell’ancora di salvezza per non annegare nel mare della piattezza, del tutto-uguale, dell risposte identiche: sono contento vada tutto bene.
Ma in Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza, nulla va bene, le persone si muovono come marionette, con poche parole e uno sguardo assente sulla vacua contemporaneità. Così, il regista fa ridere, altrimenti non ci resta che piangere, mettendo in scena situazioni tragicomiche che hanno l’ineluttabile morte come unica via di fuga.
Sembra pesante, invece il ghigno non abbandona il volto, mentre seguiamo due venditori ambulanti, sfigati e depressi, in cerca di felicità, portarla come tale in giro per la città, con le sue mille-folli paradossali situazioni. Cerone in volto compreso, che rende un aurea funebre all’interno cast.
Una riflessione divertente sullo stato di salute del nostro fare cinema, uno sguardo metalinguistico e metaforico sul senso non senso, un bel film che aveva giovato ancor di più da una necessaria sforbiciata in sala di montaggio, ma che regala attimi di vera ilarità. Il resto è noia, come i due venditori ambulanti, esseri erranti senz’arte né parte.