DEATH IN THE LAND OF ENCANTOS, L’OTTIMO FILM DEL REGISTA FILIPPINO
Death in the land of Encantos è un grido, una scossa, è un pugno allo stomaco. Un film che colpisce e stupisce, con la particolarità di avere un regista, Lav Diaz, che con strumenti amatoriali dà vita ad un film profondo ed allo stesso tempo incantevole, con realismo il regista è stato in grado di descrivere un trauma, una ferita aperta di un uomo e di una Nazione. Il film infatti pur essendo incentrato sulla figura di Benjamin Augusan, poeta maledetto, intellettuale affascinato dalla Russia e dall’Europa, è un’opera corale. Non ci si concentra su un individuo bensì su una miriade di uomini (e donne) caduti vittime del maremoto e di un sistema corrotto. Il poeta, all’inizio della lunghissima ed avvincente trama, ritorna perché la sua terra natale è sepolta. Quelle che sono le sue origini sono distrutte, è quindi una parte di sé ad essere nel fango. Oppure forse il poeta ritorna perché in passato non è stato corretto con sé e con chi gli è stato attorno. Quello che è certo è che il poeta torna con un bagaglio di esperienze ma da queste non è arricchito, egli è ancora più vuoto di quello che era. Si è fatto una nuova vita e i risvolti sono stati tragici: è fuggito da una famiglia devastata e i problemi del suo piccolo mondo, quelli del nucleo famigliare abbandonato, si sono trasformati in quelli di un intero Paese. La follia galoppante, la devastazione, la desolazione, la critica al sistema politico Filippino portano la pellicola su un’altra dimensione. Si passa dal semplice documentario all’inchiesta, e ancora dall’inchiesta al documentario.
Vedendo il film non si può fare a meno di notare le numerose affinità fra quello che succede ai numerosi personaggi e quello che succede nel nostro Paese (Italia), agli usi e costumi dei protagonisti, a come (non) vengano risolti i problemi. Ecco tornare l’aspetto documentaristico, usato dal regista per segnalare le abitudini dei nativi, le feste imposte come imposti sono una serie di riti e perfino l’uso del tempo. E’ in questo ultimo punto che forse è nascosta la spiegazione delle 9 ore di film. L’opera infatti sfida gli standard e le tempistiche del Cinema attuale e, purtroppo, costringe lo spettatore a spezzare il film ma il risultato finale è qualcosa di prezioso.
Death in the land of Encantos è qualcosa di prezioso, ci fa porre delle domande, analizza un problema e critica le Filippine. I connazionali di Lav Diaz furono schiavi del colonialismo spagnolo prima, americano o giapponese poi, ma sono ancora oggi schiavi di un sistema politico corrotto. Quello di fronte ai nostri occhi è un’attenta analisi alle Filippine e ai Filippini, ma può valere soprattutto al nostro stile di vita. Una critica e un elogio, un film che annichilisce e che sorprende con rimandi e citazioni al pensiero Russo, all’arte Moscovita in generale.