Fango e Gloria – La Grande Guerra: recensione film

FANGO E GLORIA È UN ESPERIMENTO ORIGINALE CHE MUORE NELLA PRESUNZIONE DI RENDERE LA REALTÀ FICTION

Fango_e_gloria_-_La_grande_guerra_Teaser_Poster_Italia_midGENERE: docufilm

DATA DI USCITA: 16 ottobre

DURATA: 90’

VOTO: 2 su 5

Poteva essere un esperimento originale, curioso, vincente quello di Fango e Gloria – La Grande Guerra il docufilm di Leonardo Tiberi che unisce a immagini di repertorio dell’Istituto Luce risalenti al primo conflitto mondiale quelle girate per l’occasione e unite alle altre in un montaggio ad hoc nel tentativo, mal posto, di raccontare ciò che si potrebbe nascondere nei meandri del passato di ogni milite ignoto.

Questa scelta narrativa particolare rasenta la perfezione solo nella parte in cui non c’è la fiction a fare da spalla di sabbia al racconto in quanto, purtroppo, il girato di finzione è molto più vicino allo stile di una soap opera che arranca nel ricostruire un passato storico abbellendolo di inutili fandonie che a un lungometraggio pensato per il grande schermo.

Mario è un figlio legittimo della borghesia dell’inizio del ‘900 e, benché sia alle porta, lui è convinto che l’Italia non entrerà mai in guerra e vive le sue giornate nella splendida Romagna serene frequentando l’amico casanova Emilio e la sua fidanzata Adele. Quando però, a discapito di tutte le rosee previsioni di Mario la guerra arriva tuonante anche nel Belpaese entrambi i ragazzi vengono arruolati e mandati al fronte con nel cuore un’unica speranza: rimanere vivi.

Fango e Gloria tenta, e in parte riesce, ad attualizzare una guerra lontana sia attraverso la voce narrante, che in affascinanti monologhi racconta la storia, sia tramite la colorizzazione, rispettosa degli anni in cui sono stati girati, dei filmati musicati con maestria per accompagnare lo stato d’animo dello spettatore all’interno del ricordo quasi pedagogico, che ritorna per più di un’ora ad essere collettivo, del male e delle sue conseguenze.

Questo splendido lavoro di restauro dei filmati e del passato che cullano, è stato però rovinato irrimediabilmente dagli intermezzi narrativi dove le pessime interpretazioni dei tre attori principali – al secolo Eugenio Franceschini, Valentina Corti e Domenico Fortunato – colpevoli di un artistico atto criminale contro un progetto interessante e contro il dialetto romagnolo che da loro è reso insostenibile. Alla pessima scelta attoriale si aggiungono degli errori storici notevoli e degli anacronismi che mettono a repentaglio l’intero lavoro di Tiberi. Lavoro che sarebbe stato senza dubbio più che dignitoso e altrettanto poetico senza la presenza della pessima favoletta melò di sottofondo.

 

 

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