TIRIAMO LE SOMME DI UN’ EDIZIONE APPARSA SOTTOTONO
Il sipario è ormai calato sulla nona edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, la terza sotto la direzione artistica di Marco Muller.
Terza ed ultima perché come ampiamente ipotizzato ai nastri di partenza l’ex direttore del Festival della laguna non prolungherà il suo contratto di collaborazione con la Fondazione Cinema per Roma.
“Quella del Festival di Roma è un’esperienza che non posso che ritenere conclusa, visto che era un mandato triennale”. Queste le parole di Marco Muller pronunciate durante la conferenza stampa di chiusura del Festival, alle quali facevano seguito altre considerazioni sulle sua “creatura” spesso criticata dai giornalisti per la mancanza di una identità ben definita.
“Sono stanco ma soddisfatto: in questo festival, in definitiva, tutto ha funzionato. Come speravamo il pubblico ha dimostrato che i grandi film popolari sono appezzati, ma c’è voglia di vedere anche film che portano notizie da parti lontane del mondo”.
Parole di circostanza, ma sicuramente sincere, a difesa di un operato dagli intenti ambiziosi e con un evidente riferimento alla vittoria, decretata del pubblico pagante, per Trash di Daldry e per Haider di Vishal Bhardwaj entrambi film dedicati a paesi lontani dalla nostra cultura.
La grande novità dell’edizione 2014, in netto contrasto con quanto fatto da Muller nei due anni precedenti, è stata quella di un tentativo, riuscito a metà, di ritorno al passato. La Festa del Cinema a vocazione “popolare” (la prima giuria fu selezionata tra non addetti ai lavori) voluta da Veltroni nel 2005 era ormai un lontano ricordo. E per caratterizzare un Festival troppo spesso considerato gemello rispetto a Venezia ecco la scelta di abolire ogni tipo di giura tecnica; spesso “accozzaglia” di attori o registi italiani scelti solo per il passaporto di origine e di semi-sconosciuti cineasti di nicchia, con lo scettro nuovamente affidato al popolo, attraverso schede di votazione da compilare all’uscita della proiezione. Un punto sicuramente a favore del direttore, a fronte però di molte ombre e poche altre luci.
Tanti gli argomenti trattati nel suo discorso di addio, ma molti sono rimasti colpiti dal passaggio in cui Muller ha sottolineato che “se Roma vuole davvero una festa del cinema è ora di dargli una sede permanente e definitiva. Ma la reale consistenza di questa “frecciatina” finale francamente chi scrive fatica a vederla. Se da un lato è certamente mancato un sostegno deciso da parte delle istituzioni cittadine per “incastrare” nell’affollatissimo calendario di concerti dell’Auditorium un Festival che ha subito, anche a causa della vicinanza con il “concorrente” Venezia, cambi di collazione nell’ordine di intere settimane, dall’altro non si può prescindere da una location come il Parco della Musica progettato da Renzo Piano.
Pochi altri Festival al mondo possono vantare una sala dalla capienza di Santa Cecilia e di un luogo che per la struttura della cavea esterna adiacente alle tre sale principali, è ideale per il momento più importante e ambito dal pubblico: il Red Carpet.
Ovvio poi che se la presenza del pubblico per gli eventi e le passerelle dei Divi invitati vede un crollo radicale rispetto al passato il tutto rischia di risentirne pesantemente. Durante la citata conferenza stampa di chiusura sono stati infatti resi noti i consueti dati di fine manifestazione: 113 film, 23 Paesi, oltre 80.000 ingressi in sala tra accreditati e pubblico, più i 24.000 della sezione autonoma Alice nella Città, 7 sale, 3 mostre e oltre 150.000 ‘partecipanti’, ossia presenze più o meno effettive all’Auditorium Parco della Musica.
Un buon risultato? Risposta affermativa secondo gli organizzatori. Come vanno letti dunque i numeri relativi ai visitatori fatti registrare nell’edizione migliore, anno 2009, con oltre 600.00 presenze nei giorni di proiezioni. Delle due l’una: o al tempo i dati furono palesemente “gonfiati”, oppure secondo le cifre diffuse dagli organizzatori (ben lontane da una certificazione ufficiale) l’edizione 2014 è stata una delle peggiori di sempre.
Già lo scorso anno, da reporter presenzialisti, avevamo riscontrato, ad un puro impatto visivo, una risposta certamente non eccezionale dei romani ad un appuntamento di tale portata. Eccezion fatta per la prestigiosa anteprima del secondo capitolo di Hunger Games, che aveva riempito viale de Coubertin di una variopinta massa di teenager urlanti.
Qui si tocca allora un altro punto dolente di questa nostra analisi.
È ormai pacifico che per un pubblico di non addetti al lavori, l’unica garanzia di un seguito pari alle attese è direttamente proporzionale all’importanza del Divo invitato sul Red Carpet. Richard Gere, Clive Owen, Kevin Costner e Benicio Del Toro, senza nulla togliere alla loro bravura, rappresentano al momento attori di seconda fascia per quanto riguarda l’appeal sul pubblico.
E non basta di per sé la “furbata” della proiezione domenicale del film con i teen idol Sam Claflin e Lily Collins, peraltro sconosciuti prima di questo incontro a chi scrive, per dare alle telecamere e alle televisioni presenti sono nel week end l’idea di un Festival frequentatissimo.
Un’altra verità da molti taciuta è che il programma di quest’annata sarebbe potuto essere tranquillamente compresso in una settimana. Troppe invece le giornate dallo scarso interesse e dalla scarna programmazione con il risultato che voler distribuire la rassegna su due week end, giornate con maggiore capacità di attrarre pubblico, ha finito invece con l’indebolirla nel complesso .
Molte nubi sparse sui cieli di Roma e di colui che erediterà la poltrona da Muller, con l’ambizioso obiettivo di dare finalmente una identità ben definita e duratura nel tempo. Facendo i conti con una spending review degna del Premier Renzi.
I quasi 15 milioni di euro dell’esordio sono ormai un lontano ricordo, così come la presenza di Star del calibro di Di Caprio (insieme a Scorsese per presentare The Departed), o Tom Cruise: presente a Roma nel 2007 ed eroico nel firmare autografi e fare foto con le centinaia di persone presenti in una passerella record di quasi due ore.
Il nuovo direttore artistico dovrà caversela con i 5 milioni già messi a bilancio per questa edizione.
In bocca al lupo! Ne avrà, ne abbiamo, bisogno tutti…