FA’ LA COSA GIUSTA DI SPIKE LEE E’ IL FILM DA RISCOPRIRE PER EMOZIONARSI E RIFLETTERE
Il ritmo è il forte e adrenalinico pezzo Fight The Power dei Public Enemy, la canzone emblema di un film e di un movimento, un ritmo sostenuto dall’enorme potenza del giovane e scattoso movimento di una ballerina portoricana accanto ai titoli di testa. Il caldo è asfissiante, i ventilatori sono accesi e la voce di Mister Señor Love Daddy (Samuel L. Jackson) entra piena di vigore nelle case degli abitanti del quartiere di Bedford-Stuyvesant. L’anima di questo quartiere di Brooklyn è nera, la loro cultura è nera e questa è la giornata più calda che si possa vivere nel quartiere di New York. L’anima nera non è l’unica però a vivere qui, insieme a lei minoranze come quella portoricana, coreana e italoamericana ne fanno ormai parte. Sal (Danny Aiello), italoamericano di mezza età, ha una pizzeria nel cuore del quartiere e oramai sono anni che la gestisce assieme ai figli Pino e Vito. Il locale è un vero e proprio punto di ritrovo per tutti i giovani afroamericani che vogliono assaporare un po’ di cibo dal sapore italiano. A fare le consegne per Sal è Mookie (Spike Lee), un ragazzo nero, padre di un figlio avuto con la portoricana Tina, che fugge alle sue responsabilità tra una consegna e l’altra.
Sono i colori accessi, un caldo torrido, dialoghi coloriti pieni di sottile umorismo a far da sfondo ad una storia ambientata in un duro quartiere dove frequenti sono i contrasti. Come l’esplosione di un idrante che da sollievo, refrigerio e svago alla bollente comunità, così esploderà la tensione nata per molto poco, sintomo di una convivenza non sempre facile. Spike Lee, qui al suo quarto film come regista, dirige i suoi attori con note surreali, a volte come immersi in una coreografia, a volte attraverso movimenti veloci e spasmodici non privi di una certa comicità. Quello che ha creato il regista afroamericano è un continuo confronto tra più culture costrette a vivere insieme, osservato da un punto di vista interno al quartiere, come solo quello di Lee, originario di Bedford-Stuyvesant, poteva essere. Colpisce vedere quanto non ci siano protagonisti del tutto positivi, punti di vista giusti, quanto tutti sbaglino e quanto professino la loro ragione. Il razzismo pieno di luoghi comuni, che viene manifestato all’interno del film, odora di stupidità ed è quanto mai inutile, ma al tempo stesso sembra così necessario ad un gruppo di americani provenienti tutti da immigrati, troppo ciechi per capire quanto siano tutti stranieri e cittadini di una stessa grande nazione.
Contestato, amato, creatore di polemiche e dibattiti all’uscita nelle sale, oggi Do The Right Thing di Spike Lee è una delle pellicole più apprezzate del regista afroamericano, situato tra i 100 migliori film americani, con due nomination agli Oscar e una Palma d’Oro di poco sfiorata alla sua anteprima mondiale a Cannes. Il film venne anche fortemente criticato perché incitante alla rivolta dei giovani neri delle periferie americane.
Fà la Cosa Giusta è quanto mai attuale. Ispirato dalla violenza di fatti cronaca come la rivolta ad Harlem degli anni ’40 che costò la morte di un uomo di colore da parte di otto poliziotti bianchi, esso mostra come, nonostante una politica d’integrazione continuamente sbandierata, quanto ancora forte sia il razzismo e la violenza che la convivenza tra culture diverse genera. Il film è del 1989 – ben ventisei anni fa – eppure stupisce e demoralizza l’attualità che ancora possiede quando si viene a sapere che episodi come quelli che racconta il film, che accadevano in quegli anni, accadano ancora. Come l’assassinio di un ragazzo di colore a Brooklyn, ucciso pochi mesi fa nonostante fosse disarmato e con le mani alzate dalla polizia di New York.
Motivo in più per riscoprire questo capolavoro di fine anni ’80.
“Gente mia, gente mia. Cosa posso dirvi? Cosa posso dirvi? Ho visto, ma non ho creduto. Non ho creduto a quello che ho visto. Riusciremo mai a vivere insieme? Insieme riusciremo mai a vivere?”
Mister Señor love Daddy alla fine del film.