LA MAMMA È AL CINEMA E CI CONSIGLIA IL CORAGGIOSO FILM DI SAVERIO COSTANZO
Ho visto l’ultimo film di Saverio Costanzo al Festival di Venezia, e sono uscita dalla sala con un mattoncino sul cuore, che ho impiegato qualche ora a levare e gettare via. Ma tornerò a vederlo, perché si sa, ai festival si consumano molti film al giorno e spesso non hai il tempo di “vivere” profondamente l’esperienza della storia che stai guardando.
Hungry Hearts è un film coraggioso. Può piacere o meno, come tutti i film. Ma non si può uscire indifferenti o classificare il film con un semplice “bello” o “brutto”. A parte la sapiente mano registica, i due interpreti bravi (non a caso hanno vinto la Coppa Volpi) Alba Rohrwacher e Adam Driver, Hungry Hearts colpisce perché va a “sfrugugliare” proprio laddove non vorremmo. E non bisogna certo essere genitori per sentirsi in qualche modo coinvolti, anche se sicuramente esserlo rende la visione ancora piu’ sentita.
Mina e Jude si incontrano a New York, in un modo assai bizzarro che non svelo perché vale la pena il film anche solo per la scena iniziale. Si innamorano, lei aspetta un bambino, si sposano. Con la nascita del figlio, come può capitare, iniziano a fiorire elementi dapprima nascosti delle emotività dei due genitori. Uno solare, entusiasta, seppur logorato da un rapporto combattuto con la sua stessa madre, l’altra che lentamente si chiude nel microcosmo madre-neonato, fino a diventare paranoica e quasi incapace di porsi dei limiti nella gestione della vita del piccolo. Perché è così signori miei: i figli so’ piezz e’ core, ma non sono “oggetti” nostri. Il rischio però è in agguato: la tentazione di gestirli a nostro completo piacimento, convinti dell’assoluta benevolenza delle nostre scelte, è sempre presente. E guai se i due genitori, perché due sono, hanno visioni assai differenti. La distanza di vedute rischia di trasformarsi in sfida personale prima, in guerriglia poi, per finire in un gioco al massacro in cui a rimetterci sono i figli.
Marco Martani, coproduttore della pellicola, sui social fa notare come – ingiustamente – la Lav (lega antivivisezione) abbia additato il film per il suo presunto “atteggiamento negativo verso la scelta vegana”, addirittura supponendo che la malattia mentale della protagonista sia in qualche modo legata alle sue scelte alimentari. Ora, le cose sono due: il film non è un documentario sulle scelte alimentari, non sostiene alcuna tesi. Nessun nesso è esplicitato tra le “manie” di questa giovane madre e la sua alimentazione. Secondo, anche nel caso in qualche modo questo fosse stato presente, si tratta di un film, di un punto di vista, di raccontare una storia. Diciamo anche che si tratta di libertà di espressione. E se è permesso (specie sui social) additare i non vegetariani/vegani come assassini mangia animali innocenti che oltretutto fanno male alla salute, qualcuno può avere la libertà di dissentire.
Hungry Hearts, artisticamente valido, ha in sé un valore sociale: indaga come e quanto le nostre ansie, frustrazioni e solitudini possano influire sulla relazione che abbiamo con i nostri figli, che nei primi anni di vita si affidano in toto a noi. E’ anche un modo per porsi delle domande, guardarsi allo specchio e ammettere che genitori siamo. Certo lo fa raccontando un caso estremo: ma proprio così colpisce. Ma la bellezza di questo film, sta in altro. Nel raccontare una bellissima, straziante, storia d’amore. L’amore di due anime sole, che insieme sfiorano la felicità, per poi allontanarsi proprio a causa di un dolore lontano e irrisolto. Saverio Costanzo è riuscito, con le sue inquadrature, i segni, le luci, a regalarci questo: una storia d’amore sofferente, profonda e drammaticamente plausibile.
Da vedere, senza figli!