La Teoria del tutto, come rendere (cinematograficamente) ordinaria la straordinaria vita di Stephen Hawking
DATA DI USCITA: 15 gennaio 2015
DURATA: 123’
VOTO: 3 su 5
Non è facile trasporre sul grande schermo la storia della vita di Stephen Hawking senza rischiare di generare nel pubblico un sentimento di pietà per un personaggio che merita solo intellettuale ammirazione. È talmente difficile riuscire a narrare le imprese del cosmologo senza far sì che la condizione fisica di Hawking diventi il fulcro dell’intera vicenda che prima d’ora nessuno ha osato provare se non la BBC in un film tv che si è limitato a raccontare l’inizio della carriera dell’astrofisico. La parte della sua esistenza non ancora del tutto condizionata dall’atrofia muscolare progressiva.
Il cineasta James Marsh, premio Oscar per il documentario Man on Wire, ha trovato il coraggio di dirigere un film sulla vita di Hawking basando la sceneggiatura, riadattata da Anthony McCarten, sulla biografia della prima moglie dello scienziato Jane Wilde, Verso l’Infinito. Il risultato ha un titolo, La Teoria del Tutto preso in prestito dal nome di quella formula matematica che mira a spiegare in che modo l’Universo è composto, è nato e finirà. Quella teoria, pietra filosofale della fisica, che Hawking ancora sta cercando di dimostrare.
Marsh presenta allo spettatore un Hawking giovane, brillante agli albori della sua carriera e alle prese con la sua tesi di dottorato sul tempo, quello stesso tempo che prestissimo gli diranno essere per lui limitato a due anni di vita. E allora per il giovane Stephen il tempo si trasforma, con un’ironia comprensibile solo alla sorte, non solo in oggetto di studio ma anche in una conquista. In questa crociata Stephen non è solo. Accanto a lui c’è Jane compagna, amica, moglie e madre dei loro tre figli.
La Teoria del Tutto prima di essere la storia di Stephen Hawking è la storia di un individuo che affronta una malattia e della donna che in questo tortuoso percorso gli sta accanto. Ed è proprio nella scelta di voler raccontare una storia straordinaria da un punto di vista ordinario la più grande pecca di questo lungometraggio che sembra essere un reboot di A Beautiful Mind più che un inedito lavoro sull’interessante e complessa biografia di un uomo. Una regia che per quanto funzionale sfocia sempre e comunque nel convenzionale, il tentativo forzato di voler contrapporre ragione e religione sfruttando i credo di Stephen e Jane e una retorica spicciola il cui finale è legato al banale luogo comune “finché c’è vita c’è speranza” rendono La Teoria del Tutto un’occasione sprecata in virtù della mediocrità.
A salvare il deludente lungometraggio e la caduta di stile di Marsh fortunatamente c’è l’interpretazione di Eddie Redmayne. L’ex modello cuce su di sé il cambiamento fisico che si oppone alla perpetua freschezza mentale di Hawking con grande maestria rendendo, grazie unicamente alla sua inedita bravura, La Teoria del Tutto e la sua coprotagonista Felicity Jones degni di una chance da Oscar.