ESORDIO ALLA REGIA DI RUSSELL CROWE: IL RISULTATO È UN FILM CHE NON CONVINCE, SCHIACCIATO DA TROPPE AMBIZIONI
USCITA IN SALA: 8 gennaio 2015
DURATA: 111 minuti
VOTO: 2 su 5
Quattro anni dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, il contadino australiano Joshua Connor (Russell Crowe) si reca sul suolo turco, a Gallipoli, dove si è svolta una delle battaglie più sanguinose del conflitto. Il suo obiettivo è quello di recuperare i corpi dei suoi tre figli morti durante gli scontri, ora sepolti chissà dove. Per riuscirci, Joshua intende sfruttare i propri poteri di rabdomante per localizzare l’esatta posizione dei resti dei ragazzi. Non sarà solo in questa impresa: preziosi saranno infatti gli aiuti della locandiera Ayshe (Olga Kurylenko) e dell’ufficiale turco Hasan (Yilmaz Erdogan) che gli permetteranno di continuare la sua missione, arrivando a scoprire verità inaspettate.
Esordio dietro la macchina da presa per Russell Crowe, che con The Water Diviner firma la sua prima opera da regista partendo dall’omonimo romanzo di Meaghan Wilson-Anastasios. Una partenza inceppata e faticosa quella dell’attore neozelandese: la storia scelta per questo suo debutto è già carica di suo di una forte dose di sentimentalismo, gestibile solo da una mano consapevole, capace di non far scivolare l’intera materia nella melassa più stucchevole. Una mano che si rivela essere non quella di Crowe.
Sembra quasi che il regista si muova sotto l’influenza di cineasti incontrati durante la sua carriera di interprete, alle prese anch’essi con materiale degno di narrazioni epiche: su tutti Ridley Scott, con il quale l’attore ha instaurato un sodalizio artistico a partire da Il gladiatore. Ma a differenza del regista britannico, a Crowe manca del tutto la giusta concezione di ritmo narrativo e di scansione temporale: sono molti i momenti in cui la narrazione si distende quasi inutilmente per poi ritrovarsi a dover correre in punti nodali della vicenda, fino ad arrivare a ellissi fastidiose.
Talmente fastidiose che rendono il film, a tratti, surreale. E per un film che ambisce a narrare la Storia non è sicuramente un bene. Non è chiaro come il contadino Crowe riesca a passare dal poter “sentire” l’acqua a “sentire” le ossa dei suoi figli, né quando sia stato capace di dimenticare l’amata moglie per cedere allo sguardo ammaliante di Olga Kurylenko.
La dimensione storica poteva ben essere solo un punto di partenza, un trampolino per Crowe per andare a toccare e approfondire tematiche più umane, come l’amore di un padre per i propri figli, la perdita della speranza a cui porta ogni conflitto e la solidarietà che può nascere tra esseri umani un tempo nemici. Ma Crowe non riesce a muoversi in questo calderone colmo di ottimi elementi però gettati quasi alla rinfusa, annaspando per il desiderio di produrre un drammone degno della più classica produzione a stelle e strisce che di epico, alla fine, mostra di avere ben poco.
In quest’ottica, ancora più banale risulta essere la romantica conclusione della pellicola, con gli occhi sorridenti di Crowe che incrociano quelli della Kurylenko, donando un’ultima spolverata di zucchero a un film che, però, non ne aveva certo bisogno.