Sapore di Oscar per Julianne Moore

DOPO TANTA ATTESA, É QUESTO IL MOMENTO DI ALICE?

“Posso vedere le parole che galleggiano davanti a me e non riesco a raggiungerle, e non so più chi sono e cosa perderò ancora. Non sto soffrendo, io sto lottando. Sto lottando per rimanere parte della vita, per restare in contatto con quella che ero una volta… così… – vivi il momento – è quello che mi sono detta… è davvero tutto quello che posso fare: vivere il momento”.

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E’ rigorosa e perfezionista, ha i capelli rossi, le lentiggini sulle braccia e sulle mani, e una splendida luminosità in viso. Venticinque anni di carriera alle spalle e una sfilza di riconoscimenti internazionali ottenuti per le sue memorabili performance e l’imbarazzante bravura. Julianne Moore, fresca di un Golden Globe come miglior attrice in un film drammatico per la sua straordinaria interpretazione in Still Alice, è l’unica tra le grandi attrici viventi a non aver mai vinto il Premio Oscar… non ancora perlomeno. Ciò nonostante, la quinta nomination agli Academy Awards è appena arrivata, e nessuna delle candidate di quest’anno meriterebbe l’ambita statuetta più di lei. In ogni caso manca poco per scoprire come finirà: lo vedremo durante la cerimonia degli Oscar 2015, prevista per il prossimo 22 febbraio al Dolby Theatre di Los Angeles.

Julianne Moore corre per gli Oscar proprio per la sua interpretazione nei panni di Alice Howland, la protagonista assoluta del dramma dei registi Richard Glatzer e Wash Westmoreland, nelle sale italiane dal 22 gennaio: una brillante e nota professoressa di Linguistica alla Columbia University di New York, moglie e madre di tre figli, che scopre da un giorno all’altro di essere malata di Alzheimer precoce. La pellicola, trasposizione del romanzo Perdersi (2009) di Lisa Genova, affronta questo argomento in una maniera insolita: il punto di vista non è quello dello spettatore, bensì della donna malata stessa, testimone dell’affievolirsi violento delle sue capacità cognitive, e dell’inarrestabile discesa verso la perdita di sé e di ogni ricordo che le apparteneva in passato e nel presente. Alice è perfettamente cosciente di cosa le sta accadendo, e sa bene che tutto quello a cui aveva tenuto è svanito: da studiosa del linguaggio e amante della comunicazione, si sarebbe ridotta ad avere difficoltà nel parlare, completamente priva della memoria tanto cara su cui aveva basato la sua vita.

Still Alice è costruito a tavolino sulla predominanza in scena di Julianne Moore e sulla sua interpretazione da “solista”. Il cast di supporto (di cui fanno parte Alec Baldwin e Kristen Stewart) le tiene testa ma fa solo da contorno, brillando grazie a lei di luce riflessa. L’attrice adotta un approccio emotivo ed espressivo differente per ogni stadio della malattia che colpisce il suo personaggio man mano che si addentra sempre di più nella patologia in un’irreversibile regressione mentale e fisica e di fronte alla commozione di uno spettatore inevitabilmente coinvolto dalla sua tragica storia. La riuscita del film era tutta nel corpo e nella voce della Moore, che con onestà e credibilità ha saputo raccontare mirabilmente l’esperienza in soggettiva di una donna intrappolata nel morbo di Alzheimer, un male che oggi colpisce 36 milioni di persone in tutto il mondo.

Fin dal suo esordio teatrale a New York nel 1983, un lunga gavetta cinematografica e televisiva ha fatto sì che Julianne Moore si facesse conoscere per la sua polivalenza nella recitazione, che l’ha portata ad affrontare con grande maestria e professionalità generi e stili diversi, lavorando con grandi registi contemporanei. Nel 2014 la critica l’ha premiata al Festival di Cannes per il suo ruolo nel contorto Maps to the Stars di David Cronenberg, dove ha interpretato senza freni un’egocentrica diva del cinema ormai sulla via del tramonto, mettendone in evidenza le paranoie e lo squilibrio psichico.

L’attrice americana di madre scozzese ha una particolarità: è una delle poche persone nella storia dell’Academy ad aver ottenuto addirittura due nomination agli Oscar nello stesso anno in due distinte categorie per le sue più alte performance in Lontano dal Paradiso (come miglior attrice protagonista) e The Hours (come supporter) per cui si è aggiudicata rispettivamente la Coppa Volpi a Venezia nel 2002 e l’Orso d’Argento al Festival di Berlino nel 2003.*

In The Hours, del regista Stephen Daldry, Julianne Moore recita a fianco di Nicole Kidman e Meryl Streep: tre figure femminili che vivono in epoche diverse ma le cui vicende di vita sono influenzate e legate dal romanzo “Mrs. Dolloway” di Virginia Woolf. E’ il 1951 e Laura Brown, casalinga insoddisfatta e infelice di Los Angeles, presa da un momento di rassegnatezza e ribellione, decide di abbandonare marito e figlio per andare alla ricerca di se stessa e prendere una decisione che vincolerà il resto della sua vita. Nel melodramma di Tod Haynes Lontano dal Paradiso è invece Cathy Whitaker, altra perfetta moglie e casalinga degli anni ’50 che si ritrova a dover rivalutare la propria esistenza dopo il tradimento omosessuale da parte del marito (Dennis Quaid). Laura e Cathy sono simili più che mai, due vittime del tempo in cui vivono, delle false apparenze. La loro ribellione all’epoca e alle regole sociali che le ingabbia le porterà a un punto di non ritorno che le obbligherà a reagire all’omologazione e all’appiattimento della società perbenista e ipocrita in cui erano intrappopate. L’apice della disperazione le trasformerà in due personaggi positivi, a nostro parere due dei ritratti di donna al cinema più riusciti degli ultimi decenni. La perfezione con cui Julianne Moore ha incarnato la fisicità e la psicologia di queste due eroine vale più di ogni altro aspetto dei due film. Il suo talento smisurato ha messo a nudo la profondità e la sensibilità di Laura e Cathy, rendendole “leggibili” e trasparenti, circondandole da un’aurea di fascino solo grazie al magnetismo della sua interpretazione.

Con Still Alice Julianne Moore, che potremmo definire una “self-made woman”, ha toccato l’apice di una prosperosa carriera costruita con dedizione di film in film. E se il motto della professoressa Alice Howland era quello di vivere l’attimo, crediamo che sia proprio questo quel momento in cui il percorso di una delle attrici più carismatiche e versatile dei nostri giorni venga suggellata dalla vincita del Premio Oscar, l’ultimo prestigioso riconoscimento mancante… e di certo desiderato.

* Oltre a queste indimenticabili performance ci piace ricordare che la Moore è stata candidata all’Oscar anche per Boogie Nights – L’altra Hollywood di Paul Thomas Anderson nel 1997 e nel 1999 per Fine di una storia (Neil Jordan).

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