SILVIO MUCCINO SI INTERROGA SU CHI FINGIAMO DI ESSERE PER SFUGGIRE ALLA REALTÀ
Chi siamo veramente? Per essere accettati, o per accettare noi stessi, quali maschere indossiamo? Dove finisce la maschera e dove inizia il vero volto di se stessi? Le leggi del desiderio, ultimo film di Silvio Muccino, nelle sale da domani 26 febbraio, sembra muovere da queste domande, cercandone le risposte attraverso le squinternate vite di quattro personaggi. Tre “prescelti” (Nicole Grimaudo, Carla Signoris e Maurizio Mattioli) per una specie di reality su come diventare padroni della propria vita e lui, Giovanni Canton, il “guru” o lifecoach, interpretato dallo stesso Muccino.
Sono lontani i tempi in cui Silvio ci faceva intenerire con quello sguardo da ragazzino smarrito, la “s” sibilante e quell’affanno adolescenziale che riempiva le sue interpretazioni di palpitazioni. Oggi Muccino è un uomo di 33 anni, al suo terzo film da regista.
Quello che piace è che registi giovani come lui e Sidney Sibilia in Smetto quando voglio scelgano di affrontare temi attuali in chiave di commedia. In entrambi i film c’è infatti l’aria della crisi, il problema del lavoro, l’identità legata a “cosa fai” e come lo fai.
Silvio Muccino, colpito dal fenomeno, più diffuso di quanto appaia, di questi “allenatori alla vita”, ha deciso di farci un film, che si sviluppa sui binari della commedia romantica. Sentimenti, legami e conflitti irrisolti vengono raccontati attraverso le trasformazioni di queste persone, che spesso, pur di non guardare la loro realtà, preferiscono nascondersi e travestirsi da qualcun altro. Quanto sono disposte ad accettare quello che siamo veramente, le persone che amiamo e ci amano? C’è un momento nella vita in cui si può gettare la maschera?
Le leggi del desiderio indaga questo. Lo fa con ironia e romanticismo. Gli intenti sono ottimi, ma il film, a mio modesto parere, soffre un po’ di essere rimasto sospeso tra grottesco e verità. Mi sarebbe piaciuto certamente di più se Silvio Muccino avesse spinto sull’acceleratore del grottesco, superando anche i limiti del genere comedy, per poi incontrare i “veri” volti dei suoi personaggi, in cui ognuno di noi si può riconoscere. Una chicca il cameo di Bebo Storti.
E se l’infelicità, come dice Muccino, è sempre dietro l’angolo poiché per aderire ad un modello irreale perdiamo di vista noi stessi, il film è pieno di speranza e amore.