In bici senza sella: la precarietà si racconta

INTERVISTA A GIOVANNI BATTISTA ORIGO, TRA GLI AUTORI DEL PROGETTO

GIOVANNI BATTISTA ORIGO“Senza sella! In piedi, a spingere sui pedali, perché la salita è lunga e sedersi fa troppo male”: si apre così quello che può definirsi il manifesto di In bici senza sella, film che racconta in sette episodi la lotta continua di chi vive ogni giorno nell’incertezza di un lavoro. Due dei cortometraggi che compongono il progetto, che sarà realizzato dalla Tandem Film in collaborazione con Amaro srls, sono stati presentati a una proiezione-test accolta con ripetuti e lunghissimi applausi da una platea variegata di giovani e non, a cui sono seguite recensioni entusiaste da parte dei giornalisti presenti.

Magari il merito va alla voglia di affrontare una questione complessa come quella della precarietà senza rinunciare al sorriso e all’ironia. D’altronde il titolo è già di per sé ironico, però contenente allo stesso tempo una triste realtà: “È una metafora calzante di quello che vivono oggi molti di noi, del fatto che non puoi mai sederti e che sei sempre in salita, costretto a pedalare faticosamente, ma è l’unico modo per poter andare avanti”. A parlare è Giovanni Battista Origo, tra i registi e gli autori del film.

Giovanni, puoi parlarci del progetto? Com’è nato e chi ne fa parte?
In bici senza sella nasce due anni fa come un progetto sulla situazione dei precari raccontato da chi questa situazione la vive tutti i giorni, la conosce in prima persona. È un film composto da sette cortometraggi diretti da me e altri sette registi: Francesco Dafano, Sole Tonnini, Gianluca Mangiasciutti, Cristian Iezzi, Chiara De Marchis, Emanuele Pisano e Riccardo Vincentini. Oltre me, invece, vi sono undici autori: Aldo Alatri, Alessandro Giuggioli, Vittoria Brandi, Francesco Dafano, Andrea Nobile, Sole Tonnini, Gianluca Mangiasciutti, Luca Di Martino, Elettra Raffaela Melucci, Francesca Fago e Luca Scapparone.

Qual è l’obiettivo di In bici senza sella?
L’obiettivo è quello di realizzare un progetto che sia allo stesso tempo comico e grottesco, analizzando la situazione dei precari senza però voler fare alcun tipo di attacco politico: vogliamo creare un’esperienza nuova all’interno del panorama cinematografico italiano, raccontando la precarietà con un taglio diverso e parlando di una generazione di precari che non si piange addosso, anzi. Si è voluto analizzare l’aspetto più sociale della questione senza rassegnarsi al periodo buio che stiamo vivendo: abbiamo fatto quadrato, ci siamo uniti come una falange oplitica o una testuggine romana, cercando di integrarci e di collegarci con il malcontento che si è creato per sollevare il problema.

A lavorare al film siete solo artisti emergenti?
Sì, chi più chi meno. Anche per gli attori abbiamo scelto di usare interpreti che sanno bene cos’è la precarietà. C’è da dire che, comunque, la condizione dell’attore, del regista e di chi lavora nel mondo dello spettacolo è una condizione da precario, ed è così da sempre. Nonostante l’Italia sia la culla della cultura, europea ma non solo, è un Paese che si ritrova in maniera imbarazzante a dover arrancare per quanto riguarda il capitolo arte, spettacolo e affini.

Da chi è partita l’idea per il progetto?
Da Alessandro Giuggioli della Tandem Film che, insieme a un gruppo di persone a lui vicine, ha pensato di dar vita a questo film composto da sette episodi. Noi dell’Amaro srls siamo stati contattati grazie al concorso “Fuori Campo 2015” (conclusosi da poco) e ci siamo uniti in seguito, collaborando sia per quanto riguarda l’ideazione che per la post-produzione che per il crowdfunding.

Puoi parlarci del crowdfunding che avete attivato?
Abbiamo già girato tre episodi. Per gli altri quattro, per completare le spese di produzione, abbiamo attivato la campagna di crowdfunding su Indiegogo. Tramite questa raccolta fondi dal basso (visto che siamo una produzione indipendente), contiamo di raggiungere 90 mila euro per questo progetto. È possibile partecipare al crowdfunding fino al 27 maggio. Le riprese dovrebbero svolgersi a luglio mentre il film dovrebbe essere completato a settembre, per poi mandarlo ai vari festival.

Per come è stato pensato e per come intendete realizzarlo, credi che In bici senza sella sia un film che possa essere esportato al di fuori dell’Italia o che sia fruibile solo da uno spettatore italiano?
Abbiamo già dei contatti per la distribuzione in Spagna e in Inghilterra. L’obiettivo è quello di descrivere una situazione sociale ed economica di un Paese che, comunque, fa parte del G8, non rivolgendoci quindi solo a un pubblico italiano.

E invece cosa puoi dirci del tuo corto, di cui sarai regista?
Il corto di cui mi occuperò, che ho scritto insieme a Elettra Raffaela Melucci, si intitola Santo Graal. È incentrato sull’approccio che hanno generazioni diverse con l’immortalità, come si può capire dal titolo: i trentenni protagonisti non riescono ad arrivare a fine mese, figuriamoci all’eternità. L’immortalità è un lusso che, paradossalmente, possono permettersi solo gli anziani. Sarà ambientato a Roma, città che ha avuto tutto e il contrario di tutto, portandola ad avere un atteggiamento spesso dissacrante verso ciò con cui si confronta. Non è un caso, credo, che le grandi commedie post-belliche siano state ambientate in città come Roma o Napoli.

C’è un modello di cinema a cui ti ispirerai nel dirigerlo?
Penso che l’età aurea del cinema italiano sia stata quella dal dopoguerra agli anni Settanta e, su tutti, apprezzo il lavoro di Monicelli: sarebbe bello non dico emulare, ma ricogliere quei momenti di rinascita avvenuta dopo il conflitto, realizzando una commedia non volgare o pecoreccia ma con un gusto positivamente italiano.

Il taglio ironico del progetto a cosa è dovuto?
Di solito, e speriamo che nel film questo venga reso bene, le cose più “cattive” vengono dette con il sorriso in faccia. Il cinema è uno strumento che ti dà la possibilità di veicolare qualsiasi tipo di messaggio, sia con il riso che con il pianto. Poi riuscire nell’intento è un altro discorso.

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