IL FILM SUI DIECI GIORNI CHE SCONVOLSERO EISENSTEIN
DURATA :105 minuti
USCITA IN SALA: 4 giugno 2015
VOTO: 4 SU 5
“In Eisenstein c’erano degli obiettivi alti ed un’intelligenza cinematografica veloce e consapevole – nessun film muto americano si muoveva a una simile velocità e nessun film in genere conteneva una tale quantità di inquadrature – nonché una sorprendente violenza dell’azione unita ad un’attrazione verso la violenza in sé. Inoltre, il suo cinema abbracciava un uso della metafora e delle associazioni per immagini che non lo rendevano schiavo di una narrazione prosaica, ma gli permettevano piuttosto di correre come l’immaginazione umana, mescolando passato, presente e futuro, vecchio e nuovo. Meraviglioso! Avevo trovato il mio primo eroe cinematografico”. Con queste parole, Peter Greenaway manifesta apertamente l’enorme passione e ammirazione che prova nei confronti del celebre cineasta russo. Sicuramente è proprio questo suo sentimento ad averlo spinto a girare un film centrato sulla figura di Sergei Eisenstein.
Peter Greenaway è un regista, sceneggiatore, pittore e scrittore gallese. La sua attività è caratterizzata da una versatilità e una prolificità eccezionali che lo porteranno a compiere numerosi lavori in diversi campi artistici. Al pubblico è conosciuto principalmente per i suoi lavori da regista. È autore di opere come: I misteri del giardino di Compton House, Giochi nell’acqua, I racconti del cuscino o, ancora, 8 donne e 1/2 che lo resero uno dei cineasti più significativi, originali e controversi della sua generazione.
Sergei Mikhailovich Eisenstein è “il primo eroe cinematografico” di Greenaway, ed è proprio sul celebre regista russo che si incentra quest’ultima sua pellicola. Sergei Eisenstein è stato un regista, sceneggiatore, insegnate e teorico cinematografico durante il regime sovietico ed è considerato uno dei pionieri della storia del cinema. A causa della sua eccentricità è stato più volte contrastato dalle autorità sovietiche. I suoi lavori sono stati spesso modificati, rallentati nella produzione o definitivamente interrotti perché contrari alla linea del regime. È questo il caso di Qué viva México!, un film realizzato in Messico dal regista, a cui non fu poi permesso di montarlo. Il nuovo film di Greenaway si concentra proprio sul soggiorno del regista russo in Messico durante le riprese di questo film e, soprattutto, sulla relazione che ebbe con la sua guida messicana, Palomino Canedo.
Nel film, Eisenstein, interpretato con capacità da Elmer Back, viene spogliato (letteralmente) davanti agli spettatori e viene presentato come una figura stramba, impacciata, logorroica, se non, addirittura, nevrotica. L’incontro con la guida messicana (Luis Alberti) cambierà radicalmente il regista, che, all’età di 33 anni, scoprì la propria omosessualità. Infatti, la guida messicana introdurrà l’austero regista russo ai piaceri legati ad un orientamento sessuale alternativo, trascinandolo in una burrascosa relazione che si interromperà poi bruscamente.
“Il cinema è un mezzo d’espressione troppo ricco per essere lasciato in mano agli scrittori” afferma Greenaway e i suoi lavori confermano la possibilità di un cinema differente. Infatti, le sue opere sono assolutamente originali. Questa originalità non si limita al carattere della storia, spesso scandalosa o disturbante, ma tocca tutte le componenti del film, tra cui spiccano la scenografia e il montaggio. In Eisentesin in Messico le immagini si susseguono una dopo l’altra, in un cascata inarrestabile che le fa sembrare quasi prorompere dallo schermo come se quest’ultimo si spezzi, si divida e vengano presentate più immagini nello stesso momento. Uno schermo si suddivide in tre pannelli: la scena inizia in uno di questi riquadri, prosegue in un altro e si conclude nell’ultimo.
Talvolta alla normale inquadratura si aggiungono materiale d’archivio, foto reali dei personaggi della storia o riprese effettuate da Eisenstein. Il tutto legato da un montaggio frenetico e indefinito. Vi sono quasi troppe immagini, troppi messaggi da assorbire in una sola visione. Per quanto riguarda la scenografia è tipica delle opere del regista gallese. Ogni scena ha un enorme impatto visivo ed è creata prestando attenzione ad ogni minimo particolare. Ogni inquadratura può essere considerata come un quadro, con un valore artistico a prescindere dal resto del film.
Quest’ultimo film di Peter Greenaway regge il confronto con le migliori opere del regista. E’ una pellicola caotica ma la difficoltà che si prova a seguirla è alleggerita, anzi annullata, dalla sua freschezza e originalità. In alcuni casi si può perdere di vista la storia vera e propria, non perché annoiati da essa, ma perché affascinati dal metodo cinematografico utilizzato. Decisamente un film da non perdere per gli appassionati del cineasta gallese o del cinema in generale.