AL CINEMA LA PELLICOLA DIRETTA DA ALAN RICKMAN CON KATE WINSLET
GENERE: storico, commedia, drammatico
DURATA: 112 minuti
USCITA IN SALA: 3 Giugno
VOTO: 2,5 su 5
Dopo l’ormai datato esordio L’ospite d’inverno (1997) in cabina di regia, arriva oggi nelle sale italiane la seconda fatica dell’attore inglese Alan Rickman, Le regole del caos (A little caos, in originale). Distribuita nei cinema dalla Eagle Pictures, la pellicola è passata dal Festival di Toronto, nel settembre del 2014, prima di giungere a quello di Londra, successivamente. Anche se viaggia in bilico tra il genere della commedia e quello drammatico, il film, scritto dall’autrice Alison Deegan insieme allo stesso Rickman e a Jeremy Brock, è innanzitutto storico, in costume, essendo ambientato nella Francia di Luigi XIV.
Siamo nell’anno 1682, infatti, e la protagonista, Sabine De Barra, paesaggista nei giardini e nelle campagne francesi, riceve un inaspettato invito, quello di poter partecipare all’assegnazione di un incarico alla corte del Re Sole. Il primo incontro con l’artista di corte, Andrè La Notre, non sembra però essere un successo, data la freddezza di lui, che però la sceglie per il lavoro di realizzazione di uno dei giardini principali del nuovo Palazzo di Versailles. La donna si ritrova così a doversi scontrare, in primis, con la ridotta tempistica, dettata dall’eccentrico sovrano, e, soprattutto, con le differenze di genere e classe che il suo sesso e la sua bassa caratura sociale le riservano. A questo vorticoso little caos, ci si aggiunge anche il turbolento ed intenso rapporto con lo stesso fascinoso La Notre.
Nel ruolo di Sabine troviamo Kate Winslet, la quale certo non ha bisogno di particolari presentazioni. L’attrice ha già lavorato con Alan Rickman quando era poco più che diciannovenne, nel film Ragione e sentimento (1995), e, rivela la produttrice Gail Egan, era la prima scelta per la parte della volitiva e talentuosa protagonista. Il talento della Winslet è una sicurezza, d’altro canto, e non possiamo certo dire che non svolga il compito alla perfezione, incarnando al meglio lo spirito tanto confusionario e insicuro quanto internamente artistico e temerario che caratterizza la paesaggista.
I problemi sorgono, invece, nell’inespressa chimica col compagno d’avventura, il fiammingo Matthias Schoenaerts (Bullhead), che interpreta Le Notre. Più che alle doti recitative di entrambi, però, le colpe andrebbero imputate principalmente alla scrittura della loro relazione, la quale difficilmente riesce a staccarsi dalla canonicità del caso. Storia d’amore, tormentata e “impossibile”, che scarsamente si integra con la componente storica e “sociale” della pellicola, affossando inesorabilmente, in aggiunta, l’atmosfera leggera e di pungente frivolezza che si dovrebbe respirare nelle scene di corte. A tenere alto l’onore della commedia, allora, ci pensa Stanley Tucci, fratello del Re Sole, nel film, il quale non è comunque esente anch’esso da una certa stereotipizzazione, nella sua caratterizzazione da tipico personaggio dalla battuta pronta e sempre arguta.
Discorso completamente differente, invece, per il Re Sole di Alan Rickman. Sempre la produttrice, Gail Egan, racconta di aver inviato la sceneggiatura della Deegan all’attore, perché intenzionati a fargli interpretare il personaggio di Le Notre, il quale, non del tutto convinto, si è però detto disponibile a curarne la regia. Solo successivamente, la produzione gli ha infine richiesto di interpretare il sovrano francese, ritenendolo perfetto per la parte. E anche in questo caso difficilmente si può giudicare la scelta sbagliata, anzi.
Grazie alla sua compostezza tutta british, nonché al suo infinito spessore attoriale, Rickman riesce ad infondere tutta la regalità e, al tempo stesso, l’unicità che ben si addice ad un tale ruolo. A testimoniare l’eccezionale lavoro fatto, la scena probabilmente più riuscita della pellicola, quella del primo incontro, intimo e in principio equivoco, tra il Re e Kate Winslet/Sabine, proprio perché, finalmente, azzeccato connubio tra divertimento ed emozione, degnamente reso anche da una ritrovata chimica, qui sì, tra i due attori. Passata l’ilarità iniziale, infatti, la sequenza esplode in una convincente ed intensa drammaticità con le confessioni più intime del sovrano, potente ma solo, indirizzate alla comprensiva ascoltatrice, magnificamente accompagnata sullo sfondo dalla delicata e raffinata ambientazione campestre
E veniamo così alla regia. Tornato dietro la macchina da presa dopo più di quindici anni, Alan Rickman dimostra di saper ancora padroneggiare la macchina con una certa disinvoltura, sicuramente senza mai diventare particolarmente virtuoso o quantomeno invasivo, ma sempre attento alla geometrie visive, dettate indubbiamente dalla sua formazione da grafico, che ben si confanno al tema della messa in scena, che di architetture pur sempre parla. L’intero apparato tecnico segue così tali direttive: dalle scenografie accurate, rispettose della derivazione storica, come la presenza della fontane, celebre fissazione di Luigi XIV, ma comunque sempre costruite ed impostate “matematicamente”; la modernità, al massimo di quanto possa essere possibile, del reparto costumi, che si contrappongono all’opulenza sfacciata della corte; dal fascino delle location inglesi, tra cui palazzi impossibili da aprire a qualsiasi produzione indipendente, se non grazie alla caratura dei nomi coinvolti, ai “quadri in movimento” della fotografia di Ellen Kuras. Il tutto quindi perennemente in un preciso bilanciamento, in opposizione al “caos” del titolo e della narrazione, che ne fa l’aspetto più riuscito e convincente della pellicola.