Il chi è di un Inquilino (1947) di Yasujiro Ozu

CINEMA DI IERI RICORDA IL FILM DI OZU “NAGAYA SHINSHIROKU”

ozuIl chi è di un inquilino (Nagaya shinshiroku) è un film del 1947 diretto da Yasujiro Ozu. Ozu viene considerato uno dei maggiori esponenti del cinema giapponese, spesso associato ad altre imponenti figure come Akira Kurosawa e Kenji Mizoguchi. Ma al contrario di questi ultimi, rimase a lungo tempo sconosciuto al pubblico occidentale. I suoi lavori si concentrano spesso sul nucleo familiare e ritraggono il contrasto tra modernità e tradizione nella società nipponica del dopo guerra. Il suo tocco particolare, caratterizzato dalla staticità delle inquadrature e semplicità nel montaggio, dona un ritmo lento e pacato e un impressione di naturalezza e serenità ai suoi film. I suoi lavori, tra cui ricordiamo Viaggio a Tokyo, considerato il suo capolavoro, hanno avuto un’enorme influenza sul cinema contemporaneo. Il tedesco Wim Wenders, ad esempio, ha omaggiato il regista giapponese dedicandogli il documentario Tokyo-Ga.

Il chi è di un inquilino è la prima pellicola realizzata dal regista dopo la seconda guerra mondiale. La guerra naturalmente influenzò molto Ozu. Da questo film infatti si nota un netto cambiamento di stile rispetto alle precedenti opere dell’artista. La trama non è più l’elemento portante mentre l’atmosfera, l’ambiente e il carattere dei personaggi acquistano maggiore importanza. La storia è ambientata nel Giappone del dopoguerra, in una zona povera nelle vicinanze di Tokyo. Kohei è un bambino che si è perso o che è stato abbandonato. Toshiro, che si guadagna da vivere facendo l’indovino, trova il bambino per strada e decide di portarlo con sé a casa. Tamekichi, Il suo coinquilino, non vede di buon occhio i bambini e allora gli proibisce di tenerlo da loro.  Nessuno vuole badare al fanciullo. Toccherà a Otane, una vedova di mezz’età scorbutica, di prendersi cura di lui. Inizialmente lo ospiterà di controvoglia ma successivamente tra loro si verrà a formare un affettuoso legame.

I personaggi del film sono sopraffatti dalle conseguenze della guerra. Otane ha perso il marito, il bambino si ritrova senza i genitori, altri ancora non possono permettersi di fare il lavoro che desiderano e si adattano a fare qualsiasi cosa gli si presenti. Lo sguardo del cineasta si sofferma sulla loro condizione e le conseguenze che essa comporta. I cuori si induriscono, non ci si può permettere di pensare agli altri a discapito di sé stessi. I personaggi sanno che bisogna aiutare il bambino ma nessuno di essi vuole farlo e tentano di affidarlo a qualcun altro. Allo stesso tempo, però, c’è bisogno di contatto umano e spirito di gruppo. Per sopravvivere occorre aiutarsi a vicenda. Il nucleo familiare è distrutto dalla guerra. Le persone non sono unite dal sangue ma dalla vicinanza e dalla lotta comune per sopravvivere.

Lo si vede nella scena bellissima e commovente di una riunione di quartiere di sera. I personaggi sono seduti in cerchio ed invitano Toshiro a cantare. La trama si interrompe e il regista, con molta abilità e sobrietà, riprende la scena e la rende un manifesto di umanità. Egli, quindi, mostra l’importanza e la necessità, nello stato di povertà del dopoguerra (o comunque in ogni condizione di bisogno), di un semplice incontro con altre persone, di una serata tra amici, di una canzone. L’inquadratura si sposta dal gruppo principale per comprendere anche i figli e la moglie del padrone di casa, come a sottolineare l’unione che si è venuta a creare in quel momento di felicità.

Il film è divertente e commovente. La trama e i personaggi hanno una natura bonaria e semplice. Tuttavia, la semplicità del film è solo apparente. Dietro di essa è nascosta una forte e validissima dichiarazione sociale sulla condizione umana. I personaggi sono fortemente caratterizzati dalla difficile situazione del dopo guerra. Vi è espressa chiaramente la situazione dei bambini trascurati e abbandonati, che non hanno altro da fare che vagabondare per le strade. A questo tema si torna con l’ultima ripresa del film: una marea di bambini che passano il loro tempo in un parco, lasciati a loro stessi, quasi a simboleggiare l’innocenza perduta della generazione di bambini colpiti dalla guerra.

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