Beasts of No Nation: recensione film

LA VITA DEI BAMBINI SOLDATO RACCONTATA DAL REGISTA DI TRUE DETECTIVE

beast of no nation locandinaGENERE: drammatico, guerra

DURATA: 133 minuti

VOTO: 4 su 5

Agu è un bambino come tanti altri del suo villaggio africano, che si diverte a giocare con gli amici, scherza con il fratello maggiore, vuole bene alla famiglia e fa viaggiare l’immaginazione. Un giorno, a causa del colpo di stato militare che ha colpito il su Paese, il suo villaggio viene attaccato dai militari, e mentre la madre riesce a scappare nella capitale, il padre e il fratello vengono uccisi davanti ai suoi occhi. Agu riesce a mettersi in salvo nei boschi, imbattendosi però nei ribelli, che lo arruolano rendendolo un loro soldato.

Presentato in concorso alla 72esima Mostra del cinema di Venezia, Beasts of no nation è un colpo al cuore, una stretta allo stomaco, è quella realtà davanti a cui è impossibile rimanere impassibili. Cary Fukunaga (diventato famoso per Jane Eyre e True Detective) dirige un film straziante che poco lascia all’immaginazione. Alcune scene sono forti e non nascondono agli occhi dello spettatore la violenza delle azioni, per il resto ci pensa la voce narrante del piccolo Agu con le sue considerazioni, osservazioni e preghiere ad accompagnare l’intera durata del film.

Quanto può considerarsi davvero una salvezza aver trovato i ribelli ed essere sfuggito all’esecuzione da parte loro? Agu sembra destinato a non dover essere felice, a non dover vivere le gioie e l’innocenza della sua età, a causa di questa serie di vicissitudine che influiscono a farlo crescere troppo rapidamente, in modo sbagliato: violenza, armi, stupri, fumo, droghe, morte. È straziante la scena in cui per la prima volta uccide un uomo, il modo in cui tituba inizialmente per lasciarsi travolgere poi dal furore. Sa che è il peggiore dei peccati, ma la sua è una guerra giusta, crede, fomentato dal suo Comandante (Idris Elba) che lo incita alla vendetta verso chi ha distrutto la sua famiglia.

Ottima interpretazione dei personaggi, tanto di Elba, quanto soprattutto dei più piccoli, che si sono messi alla prova con ruoli per niente facili. Una menzione d’onore va specialmente al giovane protagonista Abraham Attah, che rende ben visibile anche soltanto attraverso le espressioni dei suoi occhi il cambiamento del suo personaggio, da quando giocava con la televisione d’immaginazione a quando inizia a respirare la morte. Il suo volto è un continuo rattristarsi e indurirsi, schiacciato dai mali provocati e dalla consapevolezza che “Quando finirà questa guerra non sarò più il bambino che sarei dovuto essere – L’unico modo per non combattere più è morire”. Fino a quel bagno in mare che sa di purificazione, di volontà di redimersi per poter vivere felicemente la sua vita senza pensare ai dolori del passato, che comunque continueranno a tormentargli l’anima.

Prodotto da Netflix, il film è girato in diversi Paesi africani ma ambientato in uno senza nome (Beasts of No Nation è tratto dal libro omonimo di Uzodimna Iweala, in cui non c’è una precisa ambientazione, essendosi l’autore ispirato a fatti accaduti in diversi luoghi), perché non necessita di una collocazione geografica ben definita. I casi di bambini soldato sono piuttosto diffusi in molti Stati dell’Africa, tornando periodicamente alla ribalta sulla stampa e i media internazionale. Notizie che come molte altre passano quasi inosservate agli occhi del lettore/spettatore ormai abituato al bombardamento mediatico contemporaneo. In un mondo pieno di contraddizioni, c’è chi gioca a fare la guerra e chi suo malgrado la fa davvero.

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