Marguerite: recensione film

MARGUERITE, “LA VOCE SBAGLIATA” DI CATHERINE FROT PER IL FILM GIUSTO

locandina MargueriteGENERE: tragicomico

DURATA: 127 minuti

USCITA IN SALA: 17 settembre 2015

VOTO: 3 su 5

1921. Alle porte di Parigi, nella sua bella villa abita la nobile Marguerite Dumont. In pochi sanno chi sia, ma tutti conoscono la sua passione a cui ha dedicato l’intera vita: la musica. Come ogni anno i suoi amici, iscritti ad un circolo musicale, si recano a casa sua per una raccolta fondi, un’occasione durante cui la donna si esibisce. Ma quello che tutti sanno, meno che lei, e che nessuno ha il coraggio di dirle è che è tremendamente stonata. Tutti coloro che si dichiarano suoi amici la deridono alle spalle, e lo stesso marito, che la tradisce e trascura da tempo, non le confessa la verità. In fondo, finché rimane a casa e canta davanti allo stesso ristretto pubblico non c’è problema. Ma se un giovane giornalista provocatore decidesse di scrivere un articolo sulle sue “doti canore”, fomentandola riguardo la sua bravura e convincendola a preparare un recital in un teatro al cospetto di sconosciuti?

Il regista Xavier Giannoli approda alla Mostra del Cinema di Venezia con la commedia Marguerite, un film in costume che ha conquistato la platea a suon di risate. Sembra una storia scritta appositamente per far ridere e commuovere, ma in molti rimarranno stupiti sapendo che ciò è successo davvero, negli anni Quaranta, e a questo personaggio Giannoli si è ispirato per costruire la figura di Marguerite. All’epoca si trattava di Florence Foster Jenkins, un’eccentrica e ricca donna americana appassionata di musica e di opera lirica, ma totalmente inconsapevole di essere molto stonata. Anche lei, come Marguerite, si esibiva sempre davanti allo stesso pubblico, che mai le aveva confessato la verità sulle sue doti mancanti, e verso la fine della sua vita coronò il sogno di cantare davanti a un vasto pubblico al Carnagie Hall.

Fa divertire l’assurdità della situazione in cui Marguerite si trova coinvolta da una vita, e che degenera con la sua crescente sicurezza e dedizione, come la donna coltivi in modo tanto convinto e a tratti esagerato il suo amore per la musica, acquistando e collezionando oggetti e abiti di scena, e rendendosi protagonista di veri e propri servizi fotografici a tema.

Marguerite è una donna piena di entusiasmo che si è lasciata totalmente catturare dal suo sogno, rinunciando a cogliere la realtà che la circonda, costruendosi il suo mondo in cui può essere chi davvero desidera, e chi gli altri le fanno credere di essere già. Ma è anche una donna incredibilmente sola, che cerca nella musica l’amore e le attenzioni che il marito le nega da tempo. Tra un sorriso e l’altro, il regista riesce ad approfondire ciò che gli stava a cuore, ossia far riflettere lo spettatore su come si possa passare una vita intera a credere di avere un talento che non si ha, e soprattutto su come sia possibile per così tanto tempo evitare di confessare la verità ad una persona continuandola a prenderla in giro e macchiandosi di vigliaccheria e ipocrisia. Ed è così che proprio chi siede davanti allo schermo si sente sempre più tristemente inerme di fronte alle continue umilizioni a cui la nostra diva è sottoposta.

Tutti bravissimi gli attori, caratterizzati da una mimica particolarmente eloquente e divertente (esemplare la scena in cui il maestro Pezzini ascolta cantare per la prima volta Marguerita). Magnifica Catherine Frot, che si cala perfettamente nei panni della ricca sognatrice e riesce a stonare e atteggiarsi a cantante lirica in modo assolutamente convincente. Bravissimo anche il maggiordomo-autista-fotografo Madelbos, Denis Mpunga, uomo di poche parole ma con un grande progetto, quello di creare un’opera fotografica che coincida con i successi e gli insuccessi della cantante stonata. Divertententissimo il divo dimenticato nonchè maestro di musica di Marguerite Atos Pezzini intepretato da Michel Fau.

Nel cast anche André Marcon nei panni del marito, che inizialmente lascia lo spettatore indifferente ma riesce ben presto a catturare, e i tre giovani Christa Théret, Sylvain DieuaideAubert Fenoy, che incarnano tre ruoli interessanti che sarebbero potuti essere maggiormente delineati nella storia, e che alla fine rimangono purtroppo marginali lasciando solo un vaga impronta del loro passaggio nonostante almeno uno sia fondamentale allo svolgimento dei fatti. Tra loro Fenoy nei panni di Kyril è particolarmente divertente per la sua eccentricità e spigliatezza.

Le interpretazioni, la perfetta ricostruzione storica dell’ambiente e dei costumi e la ricchezza musicale che vanta alcuni dei componimenti più belli e famosi della storia della musica lirica (con e senza stonature), valgono la visione del film.

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