We Are Your Friends: recensione film

IL DJ ZAC EFRON ALLE PRESE CON LE INCOGNITE DI UNA GENERAZIONE

We-Are-Your-Friends posterGENERE: drammatico, musicale

DURATA: 96 minuti

USCITA IN SALA: 17 Settembre 2015

VOTO: 2,5 su 5

Prodotto dalla Warner Bros e dalla Studiocanal, We Are Your Friends è scritto e diretto da Max Joseph, co-autore del fenomeno televisivo Catfish, qui all’esordio sul grande schermo in un film che, proprio come succede sullo sfondo dello show di MTV, ha l’ambizione di inquadrare una generazione ormai allo sbando.

Cole è un aspirante DJ di ventitre anni e trascorre le sue giornate frequentando la vita notturna di Hollywood, facendo ambiziosi progetti con i suoi amici d’infanzia e lavorando sulla sua musica elettronica cercando la traccia che farà ballare il mondo intero. Tutto cambia quando incontro James, un altro DJ più grande ed affermato di lui, che lo prende come suo pupillo. A complicare le cose, la bellissima fidanzata di lui, Sophie, con cui Cole trova un’immediata intesa. Dovendosi muovere sul filo del rasoio tra la nuova eccitante vita, la relazione proibita con la ragazza del suo mentore e le amicizie d’un tempo che si allontanano, Cole sarà costretto a scegliere tra l’amore, la lealtà e il futuro che ha sempre sognato.

Zac Efron, che impersona Cole, ritorna così nel mondo della musica, stavolta però senza cantare, anni dopo i fasti di quel High School Musical che ha lanciato la sua carriera. Per quanto non si avverta una grande considerazione critica nei suoi confronti, la sensazione è che l’attore non sembri aver trovato ancora una sua precisa dimensione, visto il livello altalenante tra produzioni comunque riuscite (l’ottimo e divertente Cattivi vicini con Seth Rogen) e altre decisamente meno rilevanti  Se delle potenzialità comunque ci sono, quindi, devono essere ancora affinate.

A proposito di dubbia “scelta dei ruoli”, Emily Ratajkowski (Sophie), al suo primo ruolo da vera co-protagonista, dopo gli esordi con David Fincher e il suo Gone Girl – L’amore bugiardo e, successivamente, il lungometraggio dell’HBO basato sulla serie Entourage, compie quantomeno un deciso passo indietro. Wes Bentley, il mentore James, che ricorderemo sempre per l’esistenzialistica “busta” di American Beauty, è invece il più attivo del gruppo, venendo dalla partecipazione in blockbuster di indubbio successo come Hunger Games e Interstellar. Nel restante del cast, da segnalare la presenza di Jon Bernthal, ex-star dello show The Walking Dead e prossimo “Punitore” nella seconda stagione, ancora da girare, del Daredevil targato Netflix.

We Are Your Friends, come detto, vuole essere un film “generazionale” e probabilmente è proprio questo il suo aspetto più irritante. La continua ricerca di strizzare l’occhio alle mode del momento, dalla colonna sonora studiata a tavolino, le allusioni “giovani” ad Instagram e al mondo del web, fino all’esaltazione, ovviamente in chiave negativa e moralistica, delle droghe e della vita notturna, rendono la scrittura della pellicola eccessivamente referenziale, se non banale. Neanche un minimo di ricercatezza, inoltre, accompagna lo sviluppo della storia d’amore “proibita”, più oggetto di desiderio del protagonista per quasi tutto il tempo, priva di qualsivoglia base solida per la piega sentimentale che si vuol dare sul finale. Lo stesso optare per un volto come quello della Ratajkowski, “idolo del web”, per questo ruolo, è solo l’ultimo esempio di come si tenti semplicemente portare al cinema una precisa fascia di pubblico, senza doversi sforzare poi tanto (ma se siete tra le vittime di quest’ultimo “lavaggio del cervello”, siete assolutamente perdonati).

Dove invece, quasi sorprendentemente, We Are Your Friends convince maggiormente, pur senza strafare, è nell’inquadrare le paure di tale generazione verso un futuro incerto, con le aspettative claustrofobiche che la società tende a riservargli. Un elemento ben presentato dalla folle corsa di Cole, che con cuffie all’orecchio sembra voler scappare dal suo mondo, che ricorda tanto quella di Renton e del suo celebre “scegliete la vita” nell’intro di Trainspotting. Per questo salviamo anche la trovata, per quanto poco originale, di relazionare tale ottica con la ricerca del “suono della realtà” messo in atto dai due DJ, ma, come spesso succede in questi casi, non basta presentare freddamente le problematiche, se poi non le si concede il minutaggio o l’importanza che gli spetta.

Continuando sul filo dei confronti, se il paragone col cult di Danny Boyle sarà sembrato improprio a molti, ripieghiamo su quel piccolo gioiello (dimenticato e colpevolmente bistrattato praticamente da chiunque) che è stato lo Spring Breakers di Harmony Korine, dove la “caduta dei valori” nella gioventù del nostro tempo veniva trasposta anche ben oltre il limite, diventandone protagonista perfino a scapito degli stessi personaggi. Le attrici protagonisti, manco a farlo apposta, erano state anch’esse pescate tra le stelle “disneyane” del momento (Vanessa Hudgens, altra ex-High School Musical, e Selena Gomez), ma stavolta in maniera più che funzionale e decisamente coraggiosa, rovesciando sfacciatamente i ruoli a cui lo star system statunitense le aveva relegate. Se ne consiglia, a questo punto, la visione a chi se lo fosse perso, anche per recuperare un James Franco mai così iconico e fuori dagli schemi (e di testa).

 

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