UNA STORIA CHE RACCONTA COME È DIFFICILE RESTARE IN EQUILIBRIO
DURATA: 95 minuti
VOTO: 4 su 5
La delgada linea amarilla (The thin yellow line). Ovvero “la sottile linea gialla”. Come non pensare subito a La Sottile linea rossa di Terence Malick. Ma in questa pellicola messicana di Celso Garcia (in selezione ufficiale) la “guerra” che i protagonisti affrontano è tutt’altra.
Cinque uomini di diverse età si trovano a condividere due settimane della loro vita, lungo una strada di 217 km circa che devono percorrere dipingendone la linea di sicurezza di separazione, la sottile linea gialla appunto. In una zona del Messico sperduta e attraversata da pochi mezzi, la sgangherata compagnia di sconosciuti inizia a camminare, lavorare, e a conoscersi. Ognuno si torva su quella strada per un motivo specifico.
Chilometro dopo chilometro questi uomini lasciano conoscere qualcosa di sé, del loro passato, della famiglia, delle loro aspettative e dei loro sogni. Il caposquadra è un uomo di mezza età, che dopo essere stato licenziato dal suo lavoro di guardiano perché sostituito da un cane, ritorna al suo vecchio impiego. Deve guidare un manipolo di sconosciuti per lo più incapaci di svolgere quel lavoro. Inevitabili le tensioni, le prime simpatie e antipatie.
La storia si sviluppa quindi sulla strada, dove ognuno dei personaggi compie passi, troppo lenti o troppo veloci, passi falsi o nella giusta direzione. Gli incontri in questo viaggio “on the road” sono bizzarri, ma nulla sembra distrarre il caposquadra dall’obiettivo, terminare la linea nel miglior modo possibile e nei tempi previsti. Ma come in tutte le storie che si rispettino, il cammino non va liscio.
Inciampano questi uomini apparentemente forti, cadono. Si rialzano. Personaggi così veri che in ognuno si può scorgere un tratto di un carattere che di sicuro abbiamo incontrato nella nostra vita. Anche nei momenti più leggeri, prevale una certa malinconia, e un senso del tragico, che preme sul cuore.
Bella la fotografia, giusti i ritmi del cammino. Si esce dalla sala con il cuore un po’ provato, ma con un grande senso di empatia. In questo festival i sudamericani (come Distancias cortas di Alejandro Guzman Alvarez) ci stanno dimostrando che non serve una grande storia per fare un buon film, ma piuttosto qualcosa di grande da dire.