LAND OF MINE, SCOPRIRE CHE IL NEMICO NON ESISTE
GENERE: guerra
DURATA: 101 minuti
USCITA IN SALA: 24 marzo 2016
VOTO: 5 SU 5
Con un titolo in inglese dal doppio significato Land of Mine, (la mia terra o la terra delle mine), titolo originale in danese Sotto la sabbia, è arrivato alla Festa del Cinema di Roma, in selezione ufficiale, un film di genere, sulla guerra. Quanti capolavori i grandi registi hanno realizzato. Ebbene, Land of mine ha tutte le carte in regola per entrare nel novero dei migliori film sulla guerra realizzati. La scelta del regista, Martin Zandvliet è stata coraggiosa: raccontare un atroce episodio accaduto nell’immediato dopoguerra, “nascosto” e non presente nella storiografia danese ed europea.
Nei giorni che seguirono la resa della Germania nazista nel maggio del 1945, i soldati tedeschi in Danimarca furono deportati e messi a lavorare per quelli che erano stati i loro prigionieri. Si stima che circa 2600 uomini, per lo piu’ ragazzini, furono costretti al lavoro di disinnescare le mine lungo la costa danese, in condizioni di vita non umane. Molti morirono di fame. Molti altri per le esplosioni delle mine.
Land of Mine racconta la storia di un gruppo di circa 14 ragazzi impiegati nell’operazione, sotto lo stretto controllo del Sergente Rasmussen, tipico “cattivo”, quello che, per rendere l’idea, dà da mangiare al suo cane e non ai ragazzi massacrati da ore di lavoro. Eppure Roland Moller, attore protagonista, riesce fin dalla prima inquadratura a non essere mai scontato. Con un tedesco quasi perfetto (l’attore è danese, ma una sua nonna tedesca lo ha cresciuto bilingue) il Sergente terrorizza i giovani e gli spettatori, alternando la furia ad una apparente, subdola, umanità. Incredibili i giovani attori, alcuni al debutto, come i gemelli Emil e Oskar Belton, di appena 16 anni e Joel Basman, che avevamo potuto ammirare lo scorso anno in When we were young, when we were strong (regia di Burhan Qurbani).
Le giornate si susseguono al ritmo di mine da disinnescare, nostalgia di casa e terrore, fame fino a star male, che questi piccoli uomini cercano di affrontare con forza, rimanendo però quello che sono, poco piu’ che bambini. Con il passare dei giorni, inevitabilmente, anche il Sergente si deve rapportare a loro, e inizia a rompersi così la corteccia del cerbero guardiano, lasciando intravedere la pelle di un uomo, anch’esso forse piegato ad una dinamica di odio che non riesce bene a comprendere e sostenere.
Intervistando Roland Moller, 43 anni, sorriso ben lontano da quello del temibile sergente, si scopre un attore molto empatico, che si definisce piu’ un “narratore” che un interprete. Ha conosciuto anche il vero Sergente, che però non ha voluto svelargli i particolari del rapporto con i ragazzi tedeschi, ma gli ha fornito solo dati “tecnici”, quanti erano, quante ore lavoravano, “Forse , spero, perché se ne vergogna”, commenta Moller. Gli chiedo come ha lavorato su questo profondo cambiamento del personaggio, da carnefice a padre, e la sua risposta è spiazzante: “Partendo dalla non conoscenza dei ragazzi, lavorando con loro, spesso sgridandoli anche, si è sviluppato il rapporto umano, quello che vedete”. Forse è proprio per questo che la sua prova di attore è assolutamente grandiosa.