OFFICE, RACCONTO DELLA CRISI FINANZIARIA IN CHIAVE MUSICALE
DURATA: 119 minuti
VOTO: 2,5 su 5
Nella Cina dei nostri anni, fra una crisi finanziaria e la caduta della Lehman Brothers, all’interno di una grande società accadono strana sparizioni di soldi, promesse di lavoro e aspirazioni di scalate al successo.
“Come diventare miliardario” è il titolo di un libro che un ragazzo, in apertura del film, legge sulla metropolitana; un messaggio che richiama l’attenzione di chi gli sta intorno, che gli si calamita addosso al fine di carpire i segreti del successo economico che il libro avrebbe la presunzione di trasmettere. Fin dall’inizio è quindi evidente e chiaro il messaggio, ossia quell’aspirazione alla ricchezza e alla potenza che però va oggi a svilupparsi in una società che sempre più sforna persone alienate dal mondo reale, che si rintanano nella tecnologia e nella virtualità. Lunghe giornate di lavoro e relazioni sacrificate in cambio di quella scalata al successo rappresentata dall’ascensore “che ferma solo al piano 71”, o da quella scala che porta ai piani alti, dove i manager lavorano, talvolta tradendo quella tanto declamata lealtà più volte intonata, mentre sotto di loro un grande ufficio open space e dai toni neutri accoglie decine e decine di impiegati.
E proprio a discapito della lealtà, si rincorrono i tradimenti non solo nel lavoro ma anche in amore, creando una catena di relazioni che a malapena e con difficoltà si tiene in piedi per convenienza, fino a cadere inequivocabilmente distruggendo tutto.
Il regista di Office 3D, il poliedrico Johnnie To, dopo aver spaziato nella sua carriera dalla commedia sentimentale al noir passando per le arti marziali, sperimenta stavolta portando un musical sul grande schermo. Presentato alla Festa del Cinema di Roma 10, Office 3D è un film corale, che fa leva su una grande quantità di attori puntando anche su importanti nomi come quello di Chow Yun Fat, che anche in questo caso riesce a conferire carisma al suo personaggio, senza mai renderlo ridicolo, come invece a tratti succede ad alcuni altri interpreti. Perché la curiosa scelta di realizzare un film musicale, campo poco battuto o comunque poco noto al di fuori dei confini cinesi, che per questo ha sicuramente attirato l’attenzione di molti, non risulta pienamente vincente.
Infatti, nonostante le scene di canti e balli siano tecnicamente ben realizzate (soprattutto la scena dell’arrivo in ufficio del presidente, così come l’appariscente scena finale del ballo, molto in stile hollywoodiano) questo genere in modo evidente poco si adatta al tema della crisi finanziaria. La sensazione è che ad ogni domanda posta da un qualunque interprete sia necessario dover rispondere cantando e adottando atteggiamenti fin troppo forzati e teatrali, declassando il senso reale della trama e ridicolizzando il messaggio del film. A lungo andare, le canzoni intonate dai protagonisti di Office diventano noiose e ridondanti, i loro interpreti poco credibili e non aiuta neanche la durata del film, davvero eccessiva. Un’altra incognita che penalizza in parte Office è l’uso del 3D, veramente non necessario.
Ma a colpire fin dall’inizio, oltre all’ammirevole fotografia, è l’utilizzo dello spazio scenico, che teatralmente sviluppa più luoghi all’interno dello stesso perimetro ben riconoscibile che mantiene le sue caratteristiche asettiche in ogni sua trasfromazione: uffici open space, negozi, saloni per cene aziendali, addirittura una stanza d’ospedale, tutto (o quasi) prende corpo in questo set che racchiude in sé quella sensazione di alienazione che i lavoratori fanno propria, spersonalizzandosi e diventando delle macchine, l’uno uguale all’altro nel proprio lavoro così come nella vita, sempre scandita dalla presenza del cellulare in mano e dal passare del tempo di un grande orologio che pende sulle loro teste.