Pan – Viaggio sull’isola che non c’è: recensione film

LA RIVISITAZIONE “SPETTACOLARE” DI JOE WRIGHT MANCA DI MAGIA

GENERE: fantastico

DURATA: 111 minuti

USCITA IN SALA: 12 Novembre 2015

VOTO: 2 su 5

Pan_posterIl romanzo di J.M. Barrie, pubblicato per la prima volta nel lontano 1902, ha ispirato svariate trasposizioni, in altrettanti differenti campi artistici: teatro, musical, animazione e in larga scala, ovviamente, il cinema. Dall’iconico e hollywoodiano Hook di Steven Spielberg alla “vera storia” dietro le quinte del libro, col Neverland di Marc Foster, dalla trasposizione “fedele” del Peter Pan di P.J. Hogan fino a quella “rivoluzionata” e maligna vista nello show ABC Once Upon a Time. La storia del “bambino che non voleva crescere” è, esattamente al contrario dell’asfissiante tic tac imposto dal celebre “coccodrillo”, senza tempo, leggendaria, ma che in fondo in pochi hanno davvero compreso. Come spesso succede in questi casi, alla fine della fiera, ci si chiede se c’era davvero bisogno di questo Pan – Viaggio sull’isola che non c’è, ma la macchina del cinema (e hollywoodiana) naturalmente non si ferma mai, lasciando a noi il compito di tirare amaramente le somme.

Il film diretto da Joe Wright e scritto da Jason Fuchs si prefigge di raccontare una sorta di “storia delle origini”, inventata, di Peter Pan, di Capitan Uncino e di come si arriva all’Isola che non c’è così come l’immaginario popolare la conosce. Personaggio chiave è lo spietato pirata Barbanera, che rapisce piccoli orfani per portarli, con la propria nave volante, proprio sull’Isola, da lui dominata. Tutto cambia quando, tra quei bambini, si troverà proprio Peter, abbandonato misteriosamente quando era in fasce. Dopo aver fatto la conoscenza del disilluso Uncino, il ragazzo muoverà la ribellione contro la tirannia di Barbanera, aiutato dagli indiani di Giglio Tigrato, portando a compimento un’antica profezia che lo riguarda.

Fin dal casting, è subito chiara la volontà di discostarsi dalla fiaba originale, tentando un approccio “pop” e commerciale. Il villain “alternativo” è così l’amato Hugh Jackman, che ovviamente interpreta Barbanera, utilizzato anche per le sue doti canore in un paio di scene. Ancor più palese è il caso di Rooney Mara, al centro di una polemica, tutta a stelle e strisce, per il suo interpretare un’indiana (simile a quello che è successo ad Emma Stone per l’hawaiano Aloha). Garret Hedlund, star di On The Road, è l’atipico Uncino, nel ruolo forse più stravolto rispetto al romanzo di Barrie, qui amico e compagno di avventura di Peter Pan, a sua volta interpretato dall’esordiente e giovanissimo (13 anni) Levi Miller. Nomi di una certa attrattiva compaiono anche tra le “comparse”, come Amanda Seyfried e l’onnipresente Cara Delevingne. A dirigere l’inflazionato cast Joe Wright, regista fin ora di film in costume (EspiazioneAnna Karenina), alla sua prima prova in un blockbuster hollywoodiano.

Costato circa 150 milioni di dollari, gli incassi in patria di Pan – Viaggio sull’isola che non c’è  hanno per ora piuttosto deluso le aspettative, anche dopo che ne è stata posticipata la data di uscita iniziale e, contando quanto abbiam visto, non ci sentiamo di dar torto agli spettatori americani. Fin dall’ imbarazzante reinterpretazione di “Smells Like Teen Spirit” dei Nirvana si capisce che qualcosa non quadra. Sia chiaro, non è un’operazione da bocciare a prescindere (basti vedere l’uso che fa Brian Helgeland delle canzoni dei Queen nel suo medievale Il Destino di un Cavaliere), ma qui appare come una chiara stonatura, ed è solo tra le prime. Tutta la componente dell’intrattenimento, infatti, si basa su dialoghi poco credibili e caratterizzazioni arrangiate se non fatte con lo stampino. Dal rendere Peter Pan un “predestinato”, Uncino un co-protagonista positivo (senza il minimo accenno a chissà quale deriva negativa futura), fino a una Giglio Tigrato messa lì quasi solo per usufruire del casting di Rooney Mara, la rivisitazione “moderna” non funziona, mirando esclusivamente alla pura spettacolarità, senza però riuscire a divertire davvero neanche un secondo.

I colori sgargianti, fuochi d’artificio e musica punk/rock messi in scena da Joe Wright cercano quindi vanamente di distrarci, ma il risultato è solo un film perlopiù vuoto. Parlando di origini, non ci aspettavamo certo il Peter Pan nei Giardini di Kensington, in cui Barrie racconta di Peter prima dell’Isola che non c’è, colmo delle raffinate allegorie dello scrittore nonché della solita straordinaria atmosfera favolistica. In questa trasposizione, invece, c’è probabilmente più grandiosità e finzione di ogni altra vista prima, eppure manca la “magia”, il senso di meraviglia di un ragazzino che vola e combatte con i pirati.  La mitologia celebre e immortale, dal “pensiero felice”  al “coccodrillo” fino ai “bimbi sperduti”, la Jolly Roger, le fate e le sirene, viene semplicemente omaggiata, priva però di un’anima. Al termine della pellicola, non si comprende perché Peter Pan diventi il “ragazzo che non vuole crescere”, lo diventa semplicemente perché così dev’essere. La produzione, in principio, con Pan – Viaggio sull’isola che non c’è aveva in mente di dare il via a un franchising in stile Pirati dei Caraibi, ma basandoci sul responso critico e, soprattutto, economico, dubitiamo altamente che ciò possa accadere (per fortuna).

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