LA CHIUSURA DELL’ALCAZAR: UNA CITTÀ CHE MUORE LENTAMENTE
Una brutta notizia. Per chi ama il cinema, per il quartiere, per la città. In realtà per il nostro Paese. Chiude il Cinema Alcazar, storica sala trasteverina attiva da 28 anni. Il 31 gennaio è prevista l’ultima proiezione. Sono 1150 le sale che hanno chiuso i battenti in Italia negli ultimi 10 anni, 45 solo nella capitale. Quando mi sono trasferita a Roma da Torino, 14 anni fa, erano ancora aperti il cinema Roma e la sala Troisi, ora miseramente abbandonate.
“Ci sono problemi più importanti nella città”, qualcuno potrebbe obiettare. Nell’immediato, forse sì. I rifiuti, i mezzi pubblici, la viabilità, i posti nei nidi. Ma lasciare che una sala cinematografica chiuda è segnale che tutti questi “altri” problemi non saranno mai risolti. Mi spiego meglio: se non esiste la consapevolezza che la bellezza, la cultura, siano esse espresse al cinema, in una libreria, al museo, in teatro, è questione vitale, non può esistere la volontà di migliorare, di progredire, di rendere il luogo in cui viviamo più accogliente, vivibile, godibile. Cosa vuoi che sia, un cinema in meno, ora che ci sono tutte queste belle multisala? Poi il modo di “fruire” del prodotto audiovisivo sta cambiando, è cambiato.
Insomma che senso ha tenere in vita queste piccole sale? Puoi scaricare un film sul pc, no? No. Andare a vedere un film al cinema è un’esperienza. Unica. C’è una ritualità che parte dalla scelta del film, dall’aspettativa, dal giorno e dall’orario che scegli. È un’esperienza che puoi fare da solo, senza il bisogno di “dover parlare” del film subito dopo il film, o la puoi fare con chi condivide questa passione, con chi ci si sta avvicinando, con chi ami. Puoi farla spesso, raramente. Avete presente quando vi preparate per un appuntamento? Ecco. Andare al cinema è presentarsi ad una specie di appuntamento al buio. Sai chi si presenterà, ma non lo conosci. Potrai restare deluso, sconvolto, innamorarti perdutamente, dire “ho perso due ore della mia vita”. Ma non uscirai dalla sala indifferente, mai.
E la sala è importante, eccome se lo è. Dove sta, le sue poltrone, il sonoro, la distanza dallo schermo, il suo odore. E ovviamente, più di tutto, la sua programmazione. Il Cinema Alcazar ha offerto per anni una programmazione eccellente, ed un giorno la settimana la possibilità di vedere il film in lingua originale – cosa che, non si sa per quale assurdo motivo – è assai rara in una città dove i film in lingua dovrebbero essere ovunque. Ma tant’è.
Lunedì sera sono entrata all’Alcazar e ho chiesto se, come al solito, il film fosse in lingua. “No, non stasera. Tra una settimana chiudiamo. Per sempre”. Lo sapevo già. Ma quello sguardo, quel tono. Come quando sai che quell’attimo di felicità rimarrà solo un ricordo. E questa è la reazione personale, emotiva. Ripensi a tutti i film che hai visto là, quando sei uscita fuggendo in lacrime, quando sei uscita cantando e ti hanno fatto un applauso, quando sorridevi per strada e a stento trattenevi le risate.
Ma poi c’è la reazione razionale: quella che ti fa chiedere perché non ci sia una forma di tutela, un limite ai costi di affitto, una detassazione, non lo so. Non sono esperta in materia. Ma vedere queste sale che chiudono mi fa l’effetto di una città che lentamente muore, di quartieri che si riempiono di ristoranti per turisti e negozi e si svuotano di magia. Quindi anche io faccio il mio appello: c’è qualcuno che può salvare l’Alcazar? Signor Pietro Valsecchi (che è un produttore in gamba e lungimirante e ha fatto l’incasso della storia con Checco), che ne dice? Si può fare? Attendo un Suo gentile riscontro. Sinceramente, Ylenia.