Memorie di un viaggiatore di Antonio Romagnoli

UN ERRANTE SOLITARIO SENZA META E SENZA TEMPO

memorieScritto e diretto da Antonio Romagnoli, Memorie di un viaggiatore è un cortometraggio, di quindici minuti circa, che gira intorno al peregrinare di Saverio, ossia il “viaggiatore” del titolo. Privi di alcun riferimento temporale, la storia si focalizza su due incontri che l’errante protagonista fa nel corso del suo vagare senza una meta precisa. Incontri scatenati dal classico “escamotage” dell’autostop,  i quali, come vedremo, non sembrano imprimere una presumibile importanza specifica o un benché minimo significato recondito per Saverio, ma fanno semplicemente parte, come chissà quanti altri consumatasi in precedenza, delle sue “memorie”.

Memorie di un viaggiatore, quindi, registra sulla scena essenzialmente tre personaggi e, quindi, può giovarsi di un cast piuttosto ristretto. Saverio La Ruina è l’attore che interpreta l’omonimo protagonista mentre l’uomo e la donna che, a turno, gli offrono un passaggio sono, rispettivamente, il celebre Alessandro Haber (non nuovo a produzioni indipendenti, vedi il web-movie di Dylan Dog, Vittima degli eventi), e la brava Valentina Picello. La scorsa settimana avevamo parlato di Onyricon, diretto da Andrea Gatopoulos, che qui ritroviamo in veste di direttore della fotografia. Ma ad accomunare i due prodotti è soprattutto la casa produttrice Il Varco, che, vista l’ottima fattura riscontrata in entrambi i casi, diventa una realtà, oltre che nuova, piuttosto interessante.

Il regista è, invece, Antonio Romagnoli (autore anche delle musiche originali) che curiosamente sceglie di rappresentare il vacuo  scorrere del tempo attraverso il suo totale “annullamento”. Operazione che parte, come accennato, fin dal background dello stesso protagonista, praticamente assente. Di Saverio non sappiamo nulla, né ci vengono fornite, durante le sue iterazioni gli altri personaggi, informazioni che facciano presupporre qualcosa di rilevante sulla sua identità. In questo senso, lo seguono a ruota i suoi interlocutori, con battute perlopiù prive di alcun carattere personale e lì dove se ne intravedono, vedi il caso di “Jimmy”, in realtà il tutto suona fittizio e inverosimile.

Lo stesso viaggio, infine, non può essere classificato come il tipico stile “on the road”, perché ciò richiederebbe la presenza di una minima “azione”, ovvero di un percorso da cui canonicamente l’”eroe”, al suo termine, ne uscirebbe arricchito. Ma in Memorie di un viaggiatore  non c’è azione, i dialoghi rispecchiano l’inconsistenza di un Nanni Moretti d’annata, il tempo non ha riferimenti né tantomeno logica (il corto finisce da dove è iniziato, a simboleggiare un circolo senza fine), e perfino lo spazio è vuoto e desolato, degna rappresentazione di un’Italia che non esiste più, esattamente come il senso di attraversarla appieno.

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