IL MEDIOMETRAGGIO ITALIANO BASATO SULL’OPERA DI DAVID FOSTER WALLACE
Fin dai titoli di testa di Onyricon, scritto e diretto dal giovane Andrea Gatopoulos, è immediatamente chiaro che arte e letteratura sono spunti fondamentali per quest’opera, a sua volta ispirata, liberamente e non a caso, dall’operato dello scrittore e saggista statunitense David Foster Wallace. Recentemente, l’autore è stato riportato alla cronaca dalla pellicola, presentata anche all’ultima Festa del Cinema di Roma, The End of Tour, con Jason Segel e Jesse Eisenberg. Ma stavolta, invece, siamo di fronte a un prodotto tutto italiano, che nel farsi guidare dalle parole di un artista straniero, riporta al centro della propria componente visiva la tradizione culturale del nostro paese, e che tanto colpevolmente stiamo gradualmente dimenticando.
Se una trama, in Onyricon, esiste, va probabilmente individuata nella stessa citazione d’apertura (nonchè nel proprio titolo): “Lo scopo dell’intelligenza è cercare in quale misura si può trovare un poco di ragione in questa assurdità“, frase del maestro della Nouvelle Vague, Jean Luc-Godard. Attraverso un dichiarato surrealismo meta-cinematografico, lo spettatore del “mediometraggio” (25 minuti) è infatti chiamato a viaggiare all’interno della psiche di un sadico regista, alle prese con la ricerca della scena perfetta. Vittima delle sue angosce una tormentata attrice, la quale sarà costretta a seppellire i proprio ricordi più dolorosi. Il grottesco confronto tra i due, porterà entrambi in una dimensione onirica, per l’appunto, dove le loro vere personalità saranno messe completamente a nudo.
“Un’opera piena di talento, che inaugura una carriera”, ha detto l’attore e regista Alessandro Haber, in merito al corto e allo stesso esordio del suo autore. Andrea Gatopoulos, regista e fotografo classe ’94, è infatti al suo primo film. Fino ad oggi, però, si è distinto per collaborazioni importanti (Rai Cinema) ed interviste ad influenti personalità politiche (da Nichi Vendola ad Alessandro di Battista), ma, sopratutto, per aver fondato, occupandone la figura di direttore artistico, il collettivo Il Varco, produttore del suo stesso film e di quattro cortometraggi insieme ad ulteriori iniziative artistiche. Ad accompagnarlo in Onyricon, invece, un ricco cast, che impersona degnamente le riflessioni nichilistiche ed etiche incarnate dai rispettivi personaggi, su tutti Valerio Mammolotti (il regista) e Nika Perrone (la tormentata attrice).
“Nel mio film non ci sono spettatori”, dice il regista protagonista nelle scene iniziali della pellicola. Il meta-cinema, d’altronde, come già detto nella sinossi, è un elemento cardine del film, che si fa quindi coraggioso nella sua incomunicabilità espressa, comunque solo apparente. A parlare, infatti, sono le immagini, più che gli stessi attori, i quali operano, in tal senso, più fisicamente che vocalmente. Il regista decide di trattare gli scritti di Wallace attraverso un raffinato gusto tecnico, dove la tradizione pittorica la fa da padrone, e al resto ci pensano un montaggio da scuola russa degli anni venti e chiare influenze teatrali, anche queste più che esplicitate dalla messa in scena. Non mancano derivazioni cinefile, in particolar modo si registrano forti atmosfere lynchane (dalla stessa scena a teatro, in stile Mullolhand Drive, alla ripresa in strada, che non può che portare alla mente Strade Perdute).
Ricco di svariate quanto elevate fonti di ispirazione, verrebbe quindi da chiedersi se Onyricon possegga o meno una sua concreta identità. Eppure, esattamente come l’inconcludente ricerca della perfezione artistica del regista protagonista, forse quello che Gatopoulos vuole rappresentare è proprio questo: il nulla, che tutti dicono non “succede mai”, ma che al contrario, come dice sempre il cinico e nichilista personaggio/specchio dell’autore (in un’inquadratura che, tra l’altro, ricorda tanto l’altrettanto disilluso artista protagonista de La Grande Bellezza, Jep Gambardella), “succede continuamente”.