IL TRIO BOYLE-SORKIN-FASSBENDER RIVELA LO STEVE JOBS DIETRO IL MITO
DURATA: 122 minuti
USCITA IN SALA: 21 Gennaio 2016
VOTO: 4 su 5
Nell’analizzare l’ultima fatica dell’inglese Danny Boyle, va innanzitutto cancellato dalla mente lo sfortunato predecessore del 2003, con protagonista Ashton Kutcher. Lo Steve Jobs del regista di Trainspotting e premio Oscar per The Millionaire, a differenza dell'”affrettato” biopic firmato da Joshua Michale Stern, assume come principale fonte di riferimento la biografia “autorizzata” (dallo stesso Jobs) e omonima dell’autore americano Walter Isaacson. L’arduo compito di portare il mirabile lavoro di ricerca del giornalista statunitense sul grando schermo, è stato invece affidato al pluri-acclamato Aaron Sorkin, la cui collaborazione rappresenta l’altra sostanziale ragione che pone il prodotto in questione su di un livello sconfinatamente più alto rispetto al precedente.
Sorkin si approccia alla trasposizione in un modo quantomeno inaspettato, se non insolito. Chi si aspetta, infatti, una mera cronaca della scalata al successo del fu CEO della Apple, rimarrà deluso. Le due ore di pellicola vertono, al contrario, su tre date in particolare (1984, 1988, 1998), raccontando per ciascuna i minuti precedenti al lancio ufficiale di un progetto personale di Jobs. Come è facile intuire, l’evento in sè diventa solo un pretesto per vedere il protagonista rapportarsi, a turno, con la sua sfera familiare e lavorativa, che vanno quindi dalla sua fedele assistente personale all’ex-fidanzata storica nonché madre di sua figlia Lisa, da Steve Wozniak al suo “mentore” John Sculley. Un lavoro introspettivo quindi, che trascende i limiti del “coraggioso”, per la quale l’attento e minuzioso operato di Stern, che per il suo libro ha raccolto svariate testimonianze di chi conosceva di più il celebre programmatore (con la direttiva, proveniente dallo stesso Jobs, di non edulcorare nulla), deve evidentemente aver giocato un ruolo fondamentale.
Il cast è d’eccezione e riunisce alcuni tra i maggiori talenti in circolazione, del presente quanto del passato. Le certezze chiamate Michael Fassbender e Kate Winslet, entrambi freschi di nomina agli Oscar nelle rispettive categorie (difficilmente vincenti), quasi non necessitano di eccessivi elogi, per quanto si dimostrano all’altezza della propria fama. Riguardo Fassbender, il confronto col pur volenteroso Kutcher, come si diceva, praticamente non sussiste. Ciò che realizza il Magneto degli X-Men è semplicemente quello che dovrebbe fare qualsiasi attore di “serie A”: non una mera imitazione del personaggio, per quanto possa dimostrarsi somigliante, ma una totale immedesimazione in quello che poteva essere l'”uomo”. Intanto, a proposito di sfoggi di bravura, sono Jeff Daniels e Seth Rogen le vere sorprese, se proprio vogliamo. L’ex-protagonista di Scemo & più scemo e quello di Cattivi Vicini dimostrano, se ancora ce ne fosse bisogno, di come negli USA i confini tra attore drammatico e comico siano a dir poco labili, specialmente se coinvolto nel giusto progetto e diretto dall’opportuno regista. Quello che dicevamo per il Jobs di Fassbender, vale praticamente per il Wozniak del regista di The Interview, che risulta essenzialmente credibile ed adeguato, mentre a Daniels sono forse riservate alcune delle scene più intense del film.
Aaron Sorkin, ben noto all’ambiente cinefilo e critico, è difatti balzato agli onori della cronaca con The Social Network di David Fincher. che gli è valso d’altronde il premio Oscar (Academy che stavolta, invece, l’ha inspiegabilmente snobbato; quantomeno, può accontentarsi del trionfo agli “inferiori” Golden Globes). Attorno al nome dello sceneggiatore, dato inoltre il campo tematico superficialmente similare, i paragoni in teoria non possono che farsi inevitabili. Eppure anche qui, i due prodotti si differiscono per alcune divergenze piuttosto sostanziali. Da una parte, abbiamo infatti quello che probabilmente ricorderemo a lungo come uno dei capolavori del decennio, nel suo essere in grado di rappresentare al meglio (sorvolando un attimo sull’incommensurabile cifra tecnica) la cosiddetta “era di internet” contemporanea, attraverso la storia di uno dei suoi esponenti di maggior successo; qui, in maniera decisamente più profonda, le vicissitudini della cronaca, fanno paradossalmente solo da sfondo al lavoro introspettivo attuato sul suo protagonista, il quale viene sviscerato in tutte le sue reali ambiguità ed ossessioni, andando verosimilmente oltre il mito che tutti conosciamo.
Destino comune del lavoro dei due filmaker fuoriclasse che hanno firmato la regia delle due pellicole, intanto, è quello di venire in qualche modo messo in secondo piano dalla pregevole fattura della scrittura. Oggi come allora, invece, l’operato di Danny Boyle si coadiuva perfettamente agli eventi che si susseguono sulla scena, rappresentando al tempo stesso la differenza più grande con la raffinata e prestigiosa messa in scena di David Fincher.
Lo script di Sorkin è probabilmente tra i più teatrali che Hollywood abbia annoverato tra le sue file in tempi recenti e lo spettacolo visivo costruito da Boyle, dall’accurata scenografia agli eleganti movimenti di macchina, lo segue passo passo. Menzione d’onore, infine, per la deliziosa scelta delle musiche da parte di Daniel Pemberton, ennesimo elemento che può far dedurre quanto Steve Jobs sia una perla tecnica rara posta al servizio, in egual modo se non di più, del racconto senza filtri e soprattutto “umano” della persona che si nascondeva dietro la leggenda.