EL CLUB, QUANDO LUCE E TENEBRE GIOCANO A CONFONDERSI
Arriva finalmente nelle sale italiane El Club di Pablo Larrain, Orso d’Argento Gran Premio della Giuria al Festival di Berlino 2015, quindi esattamente un anno dopo.
Quattro sacerdoti vivono insieme in una casa isolata in una piccola cittadina sul mare. Ognuno di loro sconta in questo luogo una specie di pena per cancellare i peccati commessi in passato. Sotto l’occhio vigile di una custode, si attengono alle 18 regole di convivenza, che prevedono preghiera, confessione, canti, rosari, pasti e un po’ di tempo libero. Le uscite in paese sono limitate a due fasce orarie, ed ognuno può farlo da solo. Non possono comunicare con nessun altro che non sia della casa, ed ogni azione di autoflagellazione o piacere autoindotto è proibita. Non possono maneggiare né soldi né telefoni cellulari.
Ognuno di loro deve viere in penitenza per salvare la propria anima, sporcata prevalentemente da reati di tipo sessuale. L’apparente e fragile stabilità vine messa in pericolo dall’arrivo di un quinto uomo, che porta con sé un passato pesante ed oscuro.
El Club è il quinto film di Larrain, classe 1976 e già diversi successi alle spalle, tra cui Tony Manero (2007), presentato a Cannes e premiato al Torino Film Festival. Figlio di due politici conservatori cileni, Larrain si contraddistingue per il suo stile, disturbante e penetrante. Cresciuto in collegi cattolici e a pane&film, con El Club conferma la sua capacità di indagare l’animo umano attraverso un’amara ironia, usando particolari piuttosto inquietanti.
Questi sacerdoti fatti sparire dalla Chiesa, “scomparsi” dalla vita reale e relegati ad una routine agghiacciante sotto la finta compassione di una suora laica, vivono una quotidianità piena di tensione emotiva e fisica, che sembra incanalarsi nell’allenamento ossessivo di un cane da corsa. Immagini e musica, insieme alle interpretazioni esemplari dei protagonisti – Alfredo Castro, Roberto Farias, Antonia Zegers, Jaime Vadell, Alejandro Goic, Alejandro Sieverking, Marcelo Alonso, Josè Soza e Francisco Reyes – rendono il film un’esperienza intensa non solo visivamente ed intellettualmente, ma anche emotivamente devastante.
I temi del peccato e della redenzione, delle tenebre e della luce, del bene e del male, vengono indagati senza giudizio. Rispetto al rapporto personale con la Chiesa, il regista ha spiegato che non va a messa da quando ha 8 anni ed è tornato in chiesa solo per il matrimonio della sorella.
“Del retaggio cattolico ancora mi porto appresso il senso di colpevolezza. Ma facendo il film non volevo attaccare nessuno nè mancare di rispetto ma raccontare di fatti e persone pericolosi. L’umanità ha versato fin troppo sangue ne nome di dio”. Pablo Larrain spera che i suoi genitori non vedano il film, in quanto cattolici praticanti. Noi invece speriamo che in molti lo vedano, non tanto per la tematica pedofilia, qui solo sfiorata, ma per ricordarci che nascondere e insabbiare non combatte il male, ma lo alimenta.