LUBEZKI, IL PRIMO DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA CON 3 OSCAR CONSECUTIVI
Durante gli ultimi Oscar si è detto tanto del premio finalmente conferito a Leonardo DiCaprio, e si è fatto molto gossip sulla sua amicizia con Kate Winslet, ma non si è abbastanza parlato di uno dei veri re di questi 88th Academy Awards, ossia Emmanuel Lubezki. Il messicano ha alle spalle 8 candidature e nel 2016 ha trionfato per il terzo anno consecutivo nella sua categoria, Miglior fotografia, cosa mai accaduta prima. Un caso eccezionale, il suo, come lo è il suo lavoro: con la ripresa in digitale di Revenant – Redivivo, e il fantastico uso della luce naturale, è riuscito a battere gli altri candidati.
Precedentemente nominato per La piccola principessa, Il mistero di Sleepy Hollow, The New World, I figli degli uomini e The tree of life, è finalmente salito sul palco e ha ritirato l’omino dorato solo nel 2014, grazie al lavoro svolto con Gravity di Alfonso Cuarón, e da allora non è più sceso.
In The tree of life di Terrence Malick, uno dei film indimenticabili e migliori degli ultimi anni, Lubezki ha prediletto la luce naturale per elogiare le maestose vedute che caratterizzano questo particolarissimo lungometraggio, oppure per esaltare i lineamenti dei protagonisti: un lavoro di grande impatto in grado di catturare lo spettatore fin dall’inizio; un lavoro che sarebbe dovuto essere premiato.
Invece la prima vittoria, come detto, arriva nel 2014 con la fotografia di Gravity. Il film di Cuarón, che racconta delle avventure spaziali dell’astronauta rimasta sola in orbita e alla disperata ricerca di un modo per tornare sulla Terra, è un’opera silenziosa in cui la fotografia domina incontrastata. Per l’occasione sono stati utilizzati due diversi tipi di macchine da presa digitali, per sottolineare la differenza tra l’ambientazione spaziale e quella terrestre. Il potere visivo di Gravity è in grado di trasportaci direttamente nello spazio, facendoci sentire partecipi e presenti in prima persona in ogni fotogramma.
A questo punto Lubezki passa da un messicano a un altro, iniziando la sua fruttuosa collaborazione con Alejandro G. Iñárritu. Il film che sancisce il connubio tra i due artisti è Birdman, una pellicola estremamente differente dalla precedente per messinscena, storia, intenti e produzione, ma altrettanto vincente. Come ha in diverse occasioni sottolineato proprio Lubezki, i due registi hanno dei modi di fare totalmente opposti, il primo impegnato in una metodica e precisa pianificazione prelimanare, il secondo invece più portato per le decisioni sul campo. Con Birdman si estremizza l’uso del piano sequenza e diventa fondamentale il gioco di luci nello spazio e sui personaggi: nel film gli attori confondono la loro vita vera con quella sul palcoscenico, e non c’era modo migliore per far entrare lo spettatore direttamente in questa realtà.
E se anche in Revenant sono presenti i piani-sequenza, di certo le condizioni in cui sono stati costretti a girare hanno messo a dura prova la produzione, ma hanno reso ancor più prezioso il lavoro svolto. In questo caso erano molti gli impedimenti che rendevano duro e faticoso il lavoro, a partire dalle basse temperature che scendevano anche a 30° sotto zero, oppure i brevi tempi di ripresa dovuti ai lunghi viaggi per arrivare nelle zone dei set, e naturalmente la decisione dell’utilizzo della sola luce naturale. Fattore, questo, che di certo ha reso il film ancor più intenso e di una bellezza estrema nelle sue vedute della natura: una fotografia che lascia a bocca aperta immortala alcuni luoghi ancora per fortuna incontaminati del nostro pianeta attraverso scelte tecniche a dir poco perfette, una goduria per i nostri occhi.