QUANDO LE STELLE IN “COPERTINA” NON BASTANO
DURATA: 105 minuti
VOTO: 2,5 su 5
Quando si va al cinema non sapendo ancora che film guardare né conoscendo granché sulla trama tra quelli proposti in sala, sono spesso le star che giganteggiano sulla locandina a giocare un ruolo rilevante nella scelta finale su quale biglietto acquistare. Nomi altisonanti che però troppo spesso si rivelano essere solo “specchietti per le allodole”, nascondendo la dubbia qualità del prodotto che li vede protagonista. Sembra essere questo il caso di Misconduct (ovvero “cattiva condotta”), esordio alla regia di Shintaro Shimosawa (statunitense, nato a Chicago, malgrado nome e fisionomia possano subito fuorviare), che vede figurare in ruoli principali due iconici premi Oscar del calibro di Al Pacino e Anthony Hopkins.
Ben Cahill è un ambizioso avvocato, che si ritrova coinvolto in una lotta di potere tra un corrotto dirigente farmaceutico, Arthur Denning, e il socio del suo stesso studio, Charles Abrams. Il caso prende una svolta mortale e cospiratoria e Ben è costretto a correre contro il tempo, per scoprire la verità ed evitare di perdere tutto quello che finora ha conquistato nella sua carriera.
Come dicevamo è il cast a rappresentare la maggiore attrattiva del film. Il protagonista “avvocato del diavolo” Ben è interpretato da Josh Duhamel (Transfomers), accompagnato dalle attrici Malina Akerman (Lo Spaccacuori, la serie tv Billions) e la rediviva Julia Stiles. Ma ovviamente l’interesse è tutto per la presenza di Al Pacino e Anthony Hopkins, rispettivamente Charles e Arthur, i quali, purtroppo, più che regalarci una grande interpretazione sono lì a ricordarci come Hollywood sia un posto tanto spietato e con così poca riconoscenza nei confronti delle sue “vecchie” stelle, perlopiù relegate ad essere la sconfortante ombra dei tempi che furono (basta guardare Robert De Niro e il suo ultimo Nonno Scatenato) ed utilizzate esclusivamente a fini di marketing. A loro, evidentemente, si deve pure l’ammontare del budget della pellicola, 11 milioni a fronte di un guadagno che è arrivato a stento ad uno.
Le ragioni del flop commerciale vanno imputate principalmente a colpe “autoriali”, per un film dall’identità confusa, che alla base sembrerebbe voler fare il verso a film come Wall Street (basta guardare il poster promozionale, abbastanza speculare), assomigliando in principio più all’altro “douglasiano” Basic Instinct, cercando di prendere infine un’adrenalinica deriva thriller/complottista, priva però di un’efficacia scenica. La non originalità e la confusa messa in scena devono averlo portato ad una distribuzione limitata, presto trasformatasi nella consueta formula dell’on demand a Febbraio di quest’anno, dove di certo non si guadagna molto (per la serie, di Donnie Darko ce n’è uno solo).
Un flop che non stupisce, come annunciato, se si tiene conto del curriculum del suo autore, l’esordiente regista Shintaro Shimosawa, che bazzica nel campo ormai da anni: fautore, in veste di produttore, del remake americano della rivelazione horror-nipponica The Grudge con Sarah Michelle Gellar, scrittore di alcuni episodi per show televisivi dalla discutibile qualità (due a caso: Smallville e Ringer), fino alla grande chance come autore del controverso, per esser buoni, The Following con Kevin Bacon, stroncato dalla critica e arrivato faticando alla seconda stagione, per poi essere amaramente cancellato. Insomma la “cattiva condotta” del titolo ad Hollywood, per ora, sembra essere solo la sua.