Su Marte non c’è il mare: i venerdì che scandiscono una provincia

INTERVISTA A LUCIO LAUGELLI, REGISTA DELLA WEB SERIE CHE PARLA DI UNA GENERAZIONE ATTRAVERSO I MISTERI DI UN APPARTAMENTO IN AFFITTO

Su Marte non c'è il mare locandinaNella noia della vita di provincia, dove a scandire il tempo che passa sono le speranze che porta con sé il venerdì, il trentenne Marco arranca come può nella quotidianità di un giovane smarrito. Le cose iniziano a cambiare quando, convinto da un suo caro amico, decide di affittare la casa disabitata del nonno a un misterioso inquilino, che lo paga profumatamente per abitarci però solo il venerdì notte. Questa è solo la prima delle stranezze che Marco dovrà affrontare e che sono alcuni dei tasselli che compongono Su Marte non c’è il mare, mini-serie indipendente di quattro puntate da circa 15 minuti ciascuna, andata online (con buon esito) anche sul sito di La Stampa. A dirigerla Lucio Laugelli, 28enne di Alessandria già autore di video e corti, oltre che fondatore della rivista Paper Street. Abbiamo parlato con Lucio dei risultati ottenuti da questo suo lavoro e di cosa significhi, oggi, avventurarsi in Italia nel mondo della regia.

Come si dovrebbe fare per tutte le cose, partiamo dall’inizio: com’è nato il titolo Su Marte non c’è il mare?
Il titolo è nato per un motivo abbastanza bislacco: era il periodo in cui si stava parlando dell’acqua su Marte, qualche mese fa. Il mio progetto stava andando avanti, ma era ancora senza nome. In un momento in cui ero sovrappensiero, mi metto a riflettere sul fatto che, se anche riuscissimo a conquistare il pianeta rosso, non potremmo mai prenderci una birretta sul lungomare per il semplice fatto che su Marte non c’è il mare. Da qui sono passato a ideare il MacGuffin del film, in pieno stile Hitchcock: fin dall’inizio ho voluto inserire il riferimento a questo finto film che l’ex ragazza del protagonista sta girando. Se ne parla spesso ma non si capisce dove debba andare a parare, come un MacGuffin appunto: mi piaceva molto poter usare questo meccanismo.

Quando hai iniziato a pensare al tuo progetto, avevi già in mente che fosse per una web serie?
All’inizio avevo pensato a un lungometraggio, ma visto il budget a disposizione mi era chiaro che portarlo in sala sarebbe stato praticamente impossibile. Allora ho subito iniziato ad adattare questo mio lavoro in quattro parti già in fase di sceneggiatura: la struttura si prestava bene, dal momento che il tempo del racconto è scandito dai venerdì. Ho quindi pensato di tentare la strada dei festival medio-piccoli con il lungometraggio, ottenuto dall’unione di queste quattro parti, e contemporaneamente di approcciare all’online con invece i quattro episodi divisi. In questo ho trovato nel quotidiano La Stampa un interlocutore ideale, visto che per lui era la prima volta che prendeva parte attiva in una web serie. Poi è arrivato MoviePlayer, che ha trasmesso l’episodio la settimana successiva alla sua uscita. Il riscontro di questo impegno è stato buono: su Facebook abbiamo raggiunte oltre 70 mila visualizzazioni per le complessive quattro parti.

Anche i commenti ricevuti sono stati positivi?
Sì, assolutamente: temevo di incappare in molti haters, e invece i messaggi e le mail ricevute erano piene di complimenti. Hanno già iniziato a chiedermi della seconda stagione – cosa che quasi mi mette anche un po’ d’ansia.

lucio laugelli 1Per quanto riguarda l’elemento dell’immobilità generazionale (soprattutto in una dimensione di provincia) che permea il tuo lavoro, hai preso spunto da degli aspetti autobiografici?
Sicuramente sì. Al di là del fatto che io vivo in una città di provincia, anche io ho subito l’insicurezza della fase post universitaria, in cui non sai bene cosa fare e come muoverti. Soprattutto ho notato che i nostri coetanei, che magari si sono formati in materie umanistiche, vivono ancora di più in questo limbo. Sono sensazioni che volevo trasmettere in fase di scrittura senza cadere però nella mera autobiografia. Con questo mio lavoro volevo provare a fotografare un momento e raccontarlo nel migliore dei modi. Cerco di narrare nella maniera più semplice e familiare possibile una storia: se poi qualcuno riesce a trarne un messaggio meglio ancora.

Per come hai concepito Su Marte non c’è il mare, pensi che sia fruibile solo da una determinata fetta di pubblico, che possa colpire solo un certo target?
Questa è una domanda interessante: credo che ora il pubblico coinvolto sia maggiormente appartenente alla fascia 15-35 anni, e lo dico anche monitorando il traffico online. Nell’unica proiezione fatta al cinema, in Sala Ferrero qui ad Alessandria, c’erano anche over 40, da cui è giunto un riscontro positivo. Sicuramente, però, inserire questo lavoro in rete ha per forza di cose indirizzato il messaggio verso un pubblico più giovane. Diverso è il discorso del circuito dei festival: in questo caso, la storia potrà interessare qualcuno di più “grande”.

In base alla tua esperienza personale, che è quella di un regista “emergente”, quale impressione hai avuto dal sistema produttivo cinematografico del nostro Paese? È davvero un universo così chiuso e impenetrabile, soprattutto rispetto alle novità e alle proposte “insolite”?
È una domanda complicata: io sono a un livello talmente indie che forse non sono la persona giusta per rispondere. Credo però che qualcosa stia cambiando, e non mi riferisco solo a esempi come Lo chiamavano Jeeg Robot: penso anche a Smetto quando voglio o a Veloce come il vento (sebbene Matteo Rovere non spunti proprio dal nulla). Siamo sempre in un sistema controllato da pochi e il nostro pubblico è ancora poco abituato a certe novità, ma forse qualcosa si sta muovendo. Spero inoltre che le nuove tecnologie aiutino a rimettere tutto in gioco: me lo auguro, per me e per chi come me vuole intraprendere questo mestiere.

Come ti sei trovato a gestire il gruppo di attori che ha lavorato per te, composto da interpreti comunque non alle prime armi?
In realtà gli attori li ho conosciuti durante le prove: ho cercato di gestirli conoscendoli mano a mano, per arrivare sul set con delle dinamiche umane già consolidate. Erano soprattutto ragazzi che avevano fatto molto teatro, e mi preoccupava si vedesse troppo un’impostazione teatrale: ci abbiamo lavorato molto su questo, e lascio giudicare ovviamente gli altri sul risultato.

Guardandoti indietro, a lavoro compiuto, c’è qualcosa che cambieresti, avendone la possibilità?
Forse cercherei di lavorare non tanto con più soldi, ma con più tempo: dieci giorni di set per 52 scene è uno sforzo enorme, che spero di non dover rifare mai più.

Dal momento che sei un grande appassionato di cinema, c’è qualche film, qualche regista che ha influenzato il tuo lavoro, da cui hai preso ispirazione?
Mentre scrivevo, avevo in mente L’inquilino del terzo piano di Polanski: è un film che non c’entra niente con il mio lavoro, però a livello di ambientazione mi è servito molto per capire come concepire il mio protagonista che si perde nella casa. Poi potrei citare anche La finestra sul cortile, con gli sguardi di James Stewart da dietro il vetro, ma parlo più che altro di mostri sacri che sono nella mia testa, mi hanno indicato la strada a livello inconscio.

Progetti per il futuro? A cosa stai lavorando?
Probabilmente ci sarà una seconda stagione di Su Marte non c’è il mare, visto che in molti me lo stanno chiedendo. Prima però credo che mi impegnerò in un altro mio corto, anche solo per rimanere un po’ in allenamento.

Su Marte non c’è il mare – Trailer from Lucio Laugelli on Vimeo.

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