AVATAR DI JAMES CAMERON: UN FILM EPOCALE DALLA FORTE PORTATA TECNOLOGICA E INNOVATIVA, NONCHÈ IL MAGGIOR INCASSO DELLA STORIA DEL CINEMA
Il 18 dicembre 2009 dopo circa 15 anni dalla prima ideazione esce nelle sale l’ultima pellicola (tutt’ora lo rimane) del regista James Cameron. Il progetto nato nel 1996 risulterà il film con il maggior incasso conseguito nella storia del cinema, davanti proprio al precedente film del regista stesso il celebre Titanic; oltre ad essere uno dei film più costosi mai prodotti: Avatar.
Siamo nel 2154, una compagnia privata denominata Resources Development Administration (RDA) ha iniziato da tempo una missione per sfruttare i giacimenti minerari di Pandora, una piccola luna del pianeta Polifemo ubicato nel sistema stellare di Alfa Centauri. In particolare il metallo più ricercato è l’unobtainium, un minerale superconduttore con alcune caratteristiche grazie alle quali si potrebbero risolvere gli urgenti problemi energetici che assillano il pianeta Terra del futuro. Pandora è un mondo primordiale dominato da paesaggi naturali incontaminati e titanici ed abitato da una forma di vita umanoide, i Na’vi, alti il doppio di un umano e dalla pelle color blu acceso, i quali come tutte le altre forme di vita animali e vegetali sono connessi biologicamente con il pianeta stesso quasi a formare un tutt’uno.
Per superare il problema di un’atmosfera diversa da quella terrestre e quindi non respirabile sono stati creati degli Avatar cioè delle copie viventi dei Na’vi alle quali gli umani possono connettersi (univocamente tramite corrispondenza genetica, cioè un solo umano per ogni avatar) entrando in una sorta di stato di coma all’interno di una capsula. Poiché i maggiori giacimenti del prezioso metallo si trovano principalmente in luoghi inaccessibili e sacri per i Na’vi gli umani rappresentati dalla dottoressa Grace Augustine (Sigourney Weaver) usano gli avatar per approcciare pacificamente questo popolo e tentare una via diplomatica. Nel frattempo però il dirigente della società Parker Selfridge (Giovanni Ribisi) e il suo braccio destro, il colonello Miles Quaritch (Stephen Lang) sono intenzionati a passare all’utilizzo della forza e ad utilizzare la forza militare per soggiogare i Na’vi.
L’ex marine Jake Sully (Sam Worthington) che ha perso l’uso delle gambe in missione viene convocato per sostituire il defunto fratello gemello Tommy: avendo il medesimo corredo genetico può utilizzare il suo avatar e per farlo come ricompensa gli viene promessa una costosa operazione che gli permetterà di riacquistare l’uso delle gambe.
Jake durante una spedizione con la dottoressa Grace e il collega Norm (Joel David Moore) entra in contatto con Neytiri (Zoe Saldana), una guerriera Na’vi. Gli eventi si susseguono rapidi: Jake in breve tempo guadagna la fiducia dei Na’vi e si innamora di Neytiri ma dopo un attacco a sorpresa da parte degli umani viene considerato un traditore. Riuscirà in seguito a farsi accettare nuovamente schierandosi con i giganti blu nella difesa della loro civiltà e aiutandoli a cacciare definitivamente gli umani dal pianeta. Infine Jake rinuncia al suo corpo umano e sposa Neytiri entrando a far parte della comunità dei Na’vi.
Come possiamo intuire dalla trama appena descritta, non sono i contenuti che hanno reso questo film così epocale nella storia del cinema bensì come vedremo la forte portata tecnologica e innovativa che hanno visto questa pellicola segnare il passaggio ad una nuova era degli effetti speciali nel cinema al pari, come si evince dalla quasi totalità della critica specialistica, di Guerre Stellari nel 1977 e della trilogia del Signore degli Anelli nei primi anni 2000.
La storia è una classica contrapposizione tra bene e male, tra una civiltà pura e incontaminata ed un invasore spietato e irrispettoso. Storia di cui è stata messa ripetutamente in evidenza la forte affinità, ai limiti del plagio, con storie e pellicole classiche quali Pochaontas, Balla coi lupi e L’ultimo Samurai.
Ma non era questo l’obiettivo del regista il quale, per sua stessa ammissione, ha anche ridotto la sceneggiatura nel prodotto finale, rispetto alla fase di pre-produzione quando il progetto era ancora chiamato Project 880 (erano previsti ad esempio maggiori caratterizzazioni dei personaggi ed alcune ulteriori sottotrame tra cui una storia d’amore tra due personaggi secondari).
Peraltro, su questo punto, è da sottolineare una critica molto interessante di A.O. Scott che ritiene “la trama e le caratterizzazioni un po’ ovvie” ciò che hanno fatto funzionare il film e lo hanno reso così fruibile alla massa consentendo di porre in primo piano la grande innovazione del 3D, vero obiettivo di Cameron.
Per passare quindi ai motivi che hanno fatto di questo film una pietra miliare iniziamo da quel 1996 in cui James Cameron dopo aver ideato il progetto lo accantona in attesa che, a suo dire, la tecnologia avesse raggiunto il necessario livello perché il progetto fosse potuto essere reso la meglio senza far lievitare oltremodo i costi (per farsi un’idea si stimò che produrlo all’epoca sarebbe costato circa 400 milioni di dollari escluse le spese di promozione mentre il mastodontico Titanic, uscito nelle sale nel 1997, costò in totale circa 250 milioni di dollari). L’obiettivo era di girare il film interamente in digitale ed effettivamente la pellicola si compone all’incirca in egual misura di parti in digitale e parti girate in “camera verde” grazie alla tecnologia del motion capture.
Il momento arrivò quando Cameron dopo aver visionato e valutato gli effetti speciali utilizzati in Pirati dei Caraibi, in King Kong e soprattutto nelle epiche scene della trilogia del Signore degli Anelli si rese conto che la tecnologia aveva raggiunto il livello desiderato (peraltro si affidò per gli effetti speciali proprio alla società, co-fondata da Peter Jackson, che aveva creato quelli della nota trilogia).
È ora fondamentale analizzare le due tecnologie che hanno segnato un cambio di rotta nella storia della settima arte. In primis l’utilizzo del 3D con il sistema della Reality Camera System, tutt’ora il modello utilizzato da chiunque voglia girare una pellicola originariamente e interamente in 3D: in esso vengono utilizzate due cineprese digitali identiche affiancate a riprendere la stessa scena ad una distanza pari a quella che hanno gli occhi umani così da simulare la vista e la sensazione di profondità.
Con ciò si apre ufficialmente e definitivamente l’era del 3D, prima utilizzato solo in produzioni sperimentali, strada peraltro battuta da Cameron anche nella rimasterizzazione in tre dimensioni del kolossal Titanic (a sua detta però un film che non nasce in 3D non può essere propriamente definito come tale ma piuttosto “un 2.8D”).
In secundis il motion capture, anch’esso utilizzato precedentemente solo in maniera sperimentale soprattutto nel mondo dei videogames, il quale consiste nell’utilizzo di una tuta con dei sensori che catturano i movimenti del corpo umano e li trasferiscono sull’animazione digitale: l’attore si muove su uno sfondo verde o blu poiché solo in seguito vengono aggiunti con la computer grafica gli sfondi su cui il personaggio si muove. È così che i Na’vi riescono ad avere movenze e posture così realistiche senza l’utilizzo sullo schermo dell’attore in carne ed ossa.
Infine una curiosità che ci permette anche di aggiungere un ultimo punto. Una delle poche critiche totalmente negative al film è arrivata dagli organi di comunicazione del Vaticano e cioè la rivista L’Osservatore Romano e la Radio Vaticana le quali additano il film di mostrare una natura non più come creazione divina da ammirare e rispettare ma come divinità essa stessa da adorare. Al di là dei toni aspri e faziosi bisogna sottolineare che in effetti l’unico elemento contenutistico più approfondito per volere dello stesso Cameron è la caratterizzazione della civiltà Na’vi e dello stretto legame vitale tra il pianeta e le sue forme di vita; il regista, ateo convinto e appassionato di religioni panteistiche, ha infatti chiesto l’aiuto di un esperto sia per la creazione di usanze e mitologia dei Na’vi, sia per il loro linguaggio creato appositamente per il film e comprendente regole sintattiche e grammaticali ben definite.
In conclusione, Avatar è stato la chiave di volta nel passaggio dall’era del digitale a quella del tridimensionale, passaggio tutt’altro che unanimemente apprezzato tra gli appassionati e gli addetti ai lavori (come del resto il precedente con l’esplosione del digitale) ma indubbiamente di rottura con il precedente modo di fare cinema. Ora l’attesa è tutta sui già annunciati sequel, più volte rimandati sempre per la volontà di questo pioniere del cinema di portare in scena solo pellicole in cui la perfezione tecnologica piuttosto che tecnica deve essere la chiave di lettura.