UN ROMANZO DI FORMAZIONE CHE RACCHIUDE TUTTE LE TEMATICHE CARE AL REGISTA: IL TEATRO, LA MASCHERA, IL PERTURBANTE, LA LANTERNA MAGICA
Fanny e Alexander è un film ma anche un romanzo e una miniserie televisiva. Mi soffermo qui sull’opera cinematografica, si tratta dell’ultima girata da Ingmar Bergman per il cinema e risale al 1982. Con questo film-vita il regista ha voluto fare un resoconto di tutte le tematiche a lui care affrontate nell’arco della sua carriera: la passione per il teatro, il tema della maschera, quello del perturbante psicoanalitico e l’amore sconfinato per i dispositivi spettacolari. La componente autobiografica non è mai stata così presente, a partire dalla location, il film infatti è girato a Uppsala in Svezia (città natale del regista); già nell’incipit si vede il piccolo Alexander (Bertil Guve) giocare con un teatrino delle marionette e compiere un’azione da “regista” introducendo una statuina, proprio come Bergman ha scritto di fare da bambino nella sua autobiografia Lanterna magica.
Fanny e Alexander è sia un romanzo di formazione che un romanzo familiare e ci parla soprattutto dell’iniziazione di un artista: Alexander, un chiaro alter ego di Bergman. La presenza del nome della sorellina Fanny nel titolo infatti è data da una semplice scelta fonetica.
Subito dopo la scena iniziale Alexander si trova solo in casa e in poco tempo l’heimlich, il familiare, si trasforma nell’unheimlich freudiano, il perturbante. Quando Alexander comincia a camminare per casa e a chiamare i suoi familiari senza ricevere alcuna risposta, la colonna sonora (il II° movimento del quintetto Op. 44 per pianoforte e archi di Robert Schumann) modula in tonalità minore, l’atmosfera sognante che aveva aperto il film sullo scorrere fluente delle acque di un fiume (e del tempo) ora diventa cupa e angosciosa. Una statua di marmo comincia a muoversi e tutti gli oggetti prima rassicuranti, tra cui il carillon, assumono ora un aspetto inquietante. Nella versione televisiva appare addirittura lo spettro della morte nella sua raffigurazione più infantile: uno scheletro incappucciato e con la falce.
Accanto ai fantasmi però troviamo anche le fantasie del protagonista che cerca di conquistare la sua autonomia e identità attraverso la menzogna. Alexander infatti, come Bergman-bambino, mente sempre, mente perché gli piace creare, perché è un bambino fantasioso che grazie a questo piccolo mondo, così definito dal papà Oscar, ovvero il teatro e l’arte in generale, si trova la forza di sopportare ed accettare il grande mondo della realtà. Infine Alexander mente per crescere ed affermare la propria identità.
Fanny e Alexander è un film che si snoda in tre atti ognuno dei quali ha un’ambientazione predominante: la casa natale di Fanny e Alexander, quella del vescovo Vergérius, la bottega di Jacobi. In questi ambienti avviene la formazione e la crescita di Alexander che passa da un luogo sicuro e familiare ad un altro freddo e claustrofobico per trovarsi infine in un posto magico e labirintico. Una sorta di film-testamento con personaggi, oggetti, fantasie che hanno attraversato la vita e la carriera di Ingmar Bergman.
La scena finale vede la nonna leggere ad Alexander un passo da Il sogno di August Strindberg: «Tutto può accadere, tutto è possibile e verosimile. Il tempo e lo spazio non esistono. Su una base insignificante di realtà l’immaginazione fila e tesse nuovi disegni». Il film è come un sogno e Ingmar Bergman ce lo ha dimostrato.