BERLINALE 67 SENZA SUSSULTI, VINCONO I MIGLIORI FILM E LA POESIA CHE SALVERA’ IL MONDO
La Berlinale 67 si è chiusa sabato con le premiazioni. Un’edizione in sordina, le star ci sono state ma sempre meno mondane rispetto agli altri festival internazionali. Un po’ perché il Festival di Berlino è quello dell’impegno, politico e sociale, un po’ perché fa così freddo che il tappeto rosso è piuttosto corto e il tempo della passerella ridotto al minimo.
Tuttavia hanno sfilato Sienna Miller, Richard Gere, Hugh Jackman, Armie Hammer, Geoffrey Rush, Stanley Tucci, Robert Pattison, per citarne alcuni, senza dimenticare gli italiani , che ha ricevuto Premio alla carriera, la shooting star Alessandro Borghi, e Luca Guadagnino che ha presentato in sezione Panorama Call me by your name, film intenso e sensuale che ha stregato la critica.
Il concorso si è aperto con il sopravvalutato Django di Etienne Comar, ed è proseguito senza colpi di genio fino alla proiezione di On body and soul di Ildikò Eneydi, regista ungherese che ci ha regalato una storia di umanità e amore poetica, insolita e interessante, che si sviluppa tra un mattatoio di Budapest ed una dimensione onirica ovattata e pura, in una foresta innevata. Un film che affronta e abbraccia molti temi, primo fra tutti quello della ”diversità” emotiva e fisica, mai completamente accettata da chi si considera “normale” ma preziosa per chi riesce a coglierne il valore. Ed infatti ha vinto l’Orso d’Oro miglior film, a dimostrazione che la bassa percentuale di registe donne dovrebbe crescere, eccome.
Orso d’argento miglior regia al geniale Aki Kaurismaki, che durante la cerimonia di premiazione non perde occasione per offrire uno show comico, non salendo sul palco ed usando l’orso come microfono per parlare dalla platea. “The other side of hope” è un film politico, con la grazia, ironia e il talento del maestro finlandese, inimitabile ed unico nel suo stile. Orso D’Argento Gran Premio della Giuria a Felicitè di Alain Gomis, film intenso e pieno di amore, sulla voce della cantante Felicitè, interpretata dalla bravissima e bellissima Vero Tshanda Beya. Ma anche in questo caso, sebbene le premesse fossero ottime – la prima ora del film scorre conivolgendo – l’opera non regge fino alla fine.
Orso d’Argento Alfred Bauer Prize per le nuove prospettive alla veterana polacca Agnieszka Holland – classe 1948 – : nel suo Pokot si evince il suo consueto tentativo (riuscito) di rompere i canoni della tradizione verso un cinema sovversivo sotto vari punti di vista. Miglior attrice la giovane sudcoreana Kim Minhee diretta dal regista cult Hong Sangsoo in Bamui haebyun-eoseo honja (On the Beach at Night Alone) miglior attore il tedesco Georg Friedrich protagonista di Helle Nächte di Thomas Arslan, una delle opere meno interessanti del concorso.
Davvero un peccato che non sia stata premiata Daniela Vega, la transgebder protagonista di Una mujer fantastica del cileno Sebastian Lelio, che prende il premio miglio sceneggiatura. Ultimo premio della lista – l’Orso d’argento per il miglior contributo tecnico – va al montaggio di Ana, mon amour del romeno Călin Peter Netzer. Cerimonia veloce, senza fronzoli in perfetto stile Berlinale, che ha visto un momento “esplicitamente” politico nelle parole della regista americana Laura Poitras (premio Oscar nel 2014 per il suo eversivo documentario Citizenfour girato su e “con” Snowden) che ha attaccato Donald Trump, in riferimento alla sua nota posizione “contro la stampa”. La Poitras ha sottolineato quanto la comunità di chi fa il cinema sia all’unanimità contro i nazionalismi, “with no exclusions”.
Nonostante questa non sia stata di certo un’edizione memorabile, la Berlinale continua a conservare il suo fascino, quello di un festival attento al mondo e che fa dell’arte un’arma bella per far riflettere, sognare e perché no, cambiare le cose. Ha vinto infatti la poesia, così come ha sostenuto il direttore artistico Dieterk Kosskick, dicendo, in apertura di cerimonia, che “salvare la poesia del mondo equivale a salvare il mondo”.