FORTEMENTE AUTOBIOGRAFICO, SANGUE DEL MIO SANGUE È UN FILM SUL “DOPPIO”, SUL FANTASMA PSICOANALITICO E CINEMATOGRAFICO
Un interno buio, il suono di una campanella, una suora apre il portone di un convento di clausura. Entra un uomo, Federico Mai (Pier Giorgio Bellocchio), fratello gemello di Fabrizio, un prete sedotto da suor Benedetta (Lidiya Liberman) che, dopo esser caduto in tentazione, si tormentò fino a suicidarsi. Il suo corpo fu seppellito nel cimitero degli asini, terra sconsacrata. Ora Federico è venuto a chiedere giustizia e ad esigere che il corpo del fratello venga spostato in un luogo più degno.
Marco Bellocchio è tornato a girare nel suo paese natale (come per il suo primo lavoro, I pugni in tasca), Bobbio in provincia di Piacenza, in un film dai rimandi fortemente autobiografici (il fratello gemello del regista morì suicida). Già dalle prime immagini la pellicola ci svela molto su di sé: il buio, un portone, le suore e Federico Mai. È un film sul tempo, sulla memoria, sul rapporto tra passato e presente, sulle esperienze traumatiche e non per ultimo sul doppio. Il luogo per eccellenza di tutto questo è l’interno di un convento di clausura divenuto prigione a tutti gli effetti, l’enfasi è rivolta su un continuo apri e chiudi di porte e portoni, ma anche sulle inferriate costruendo una dicotomia dentro/fuori, libertà/prigionia. La scritta “clausura” messa in evidenza più volte, trasmette un senso di oppressione e claustrofobia (il culmine si ha nell’ansiogena sequenza in cui suor Benedetta viene murata viva, come la monaca di Monza, e lo spettatore non può che immedesimarsi restando quasi senza respiro). L’interno della prigione rappresenta il trauma di Mai avvenuto nel passato ma che, insidiatosi nella sua mente come in una cella, continua a vivere nel presente. Il frequente rimando al fluire delle acque del fiume e al passaggio delle nuvole in cielo sembra simboleggiare lo scorrere del tempo, dei giorni e della coscienza.
Sangue del mio sangue è soprattutto un film sul doppio e sul fantasma psicoanalitico e cinematografico: la prima ripetizione è già nel titolo; gli attori più importanti interpretano doppi ruoli; Federico e Fabrizio sono due gemelli, inoltre i loro nomi presentano la stessa iniziale e contano lo stesso numero di lettere; anche i nomi delle due sorelle Perletti, Maria e Marta (Alba Rohrwacher e Federica Fracassi), hanno le stesse iniziali e sfiorano l’omonimia, questa somiglianza si riflette anche nelle loro vite; nelle acque del fiume Federico getta le chiavi che gli aveva dato suor Benedetta ripetendo il gesto del fratello; la stessa pellicola parla di un doppio suicidio (quello avvenuto nel film appunto ma anche nella vita del regista); la moglie del conte Basta non può avere né gli alimenti né la pensione del marito perché quest’ultimo non è considerato né vivo né morto da otto anni; lo stesso conte Basta (Roberto Herlitzka) afferma in più casi, in modo grottesco, di non esistere e nella foto che gli viene scattata egli sembra un fantasma.
Il film stesso è diviso quasi perfettamente a metà e narra due storie che, come il doppio/fantasma, hanno un filo comune. È interessante notare come il lavoro di Bellocchio sia predominato dal buio, degli interni o della notte, come a sottolineare questa presenza fantasmatica del doppio in cui rientra anche la dicotomia presente/passato. Non è un caso che i protagonisti delle due storie si chiamino Mai e Basta, entrambi hanno un legame con il tempo, altro grande protagonista della pellicola.
Sangue del mio sangue è l’elaborazione di un lutto vissuto dal regista che già ne Gli occhi, la bocca aveva cercato di raccontare, senza però restarne soddisfatto. Un film autobiografico sì, ma che va oltre, e destreggiandosi tra dramma e grottesco regala momenti di rara intensità.