Autopsy: recensione

UNO SCONVOLGENTE E CLAUSTROFOBICO HORROR DIRETTO DAL SEMI SCONOSCIUTO ANDRE’ ØVREDAL

autopsyGENERE: horror

DURATA: 86′

USCITA IN SALA: 8 marzo 2017

VOTO: 3,5 su 5

Il cadavere di una donna sconosciuta (che chiameremo Jane Doe) ritrovato in un seminterrato a seguito di un pluriomicidio. Sembra un caso come tanti per Tommy Tilden (Brian Cox) e suo figlio Austin (Emilie Hirsh), padre e figlio medici legali in un obitorio in Virginia. Tuttavia, nel corso dell’autopsia emergono dettagli inquietanti che li turbano: il corpo della donna è perfettamente conservato all’esterno, ma all’interno è stato smembrato e rimangono segni di cicatrici e bruciature, come se fosse stata vittima di un orribile e misterioso rituale di tortura. Mentre Tommy e Austin cercano di trovare una spiegazione scientifica a queste scoperte raccapriccianti, l’obitorio in cui lavorano è vittima di strani e orribili incidenti apparentemente inspiegabili.

Diretto dal norvegese André Øvredal, Autopsy arriva nei cinema italiani e internazionali in punta di piedi, proprio come l’ospite misterioso che si annida nel corpo di Jane Doe. Øvredal, al suo primo film in lingua inglese, firma un horror claustrofobico, in cui l’azione si concentra in un unico spazio: due persone, un cadavere e un obitorio. Mentre fuori divampa il classico temporale dal cliché del cinema dell’orrore. L’obiettivo non è spaventare, quanto inquietare: ogni scena è studiata nei minimi dettagli, la presa della camera è ferma sui particolari, messi in risalto da una musica angosciante e ricca di pathos. La trama si sviluppa su più livelli: dall’incipit tranquillo all’autopsia di Jane Doe, passando per i fenomeni inspiegabili e terminando con l’orrore puro e la sconvolgente rivelazione finale. Dietro la saggia, spietata e cruda sceneggiatura ci sono Ian Goldberg e Richard Naingun, un duo che ha precedentemente firmato due serie tv della ABC e Freeform, Once Upon a Time e il piccolo cult sovrannaturale Dead of Summer, cancellato prematuramente dopo una stagione.

Non solo horror: Øvredal sottolinea anche i rapporti umani, tracciando il legame che intercorre tra padre e figlio, gli unici due protagonisti (vivi) di Autopsy. Cox e Hirsh mettono in scena un rapporto complesso, tra un padre stakanovista amante del proprio lavoro, al contrario del figlio, volenteroso di evadere da quell’impiego insoddisfacente ma obbligato a restare per aiutare il proprio genitore. Realizzato in meno di un mese e a low budget, come altri horror “economici” anche Autopsy si inserisce nell’Olimpo di piccoli capolavori come Sinister, Insidious e It Follows dove la paura dell’incognito e gli istinti primordiali (incertezza, incoscienza, sopravvivenza) diventano il motore principale su cui è costruito film.

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Linguista, aspirante giornalista, amante del cinema, malata di serie tv, in particolare dei crime polizieschi.