LA PAROLA A UNO DEI TRE AUTORI DEL DOCUMENTARIO CHE INDAGA I MOTIVI DELLA CRISI ECONOMICA EUROPEA
Uscirà nelle sale il 27 aprile PIIGS – Ovvero come imparai a preoccuparmi e a combattere l’austerity, documentario che promette di indagare nel cuore della tragica crisi economica europea. Realizzato da tre giovani registi, Adriano Cutraro, Federico Greco e Mirko Melchiorre, il film tenta di compiere un’immersione senza precedenti e, soprattutto, senza censure nei dogmi dell’austerity per offrire, una volta riemerso, un punto di vista differente delle decisioni prese finora in materia economica. Per riuscire in questo intento, i tre filmmaker hanno coinvolto nella realizzazione di questo progetto prestigiosi economisti, intellettuali ed esperti internazionali: Noam Chomsky, Warren Mosler, Erri De Luca, Federico Rampini, Paul De Grauwe, Paolo Barnard e Yanis Varoufakis, solo per citarne alcuni. Con loro si è cercato di capire quale sia l’origine della crisi dei debiti europei, se sia da ricercare nell’inadeguatezza delle popolazioni o nelle fondamenta stesse dell’euro. A tenere il filo della narrazione durante l’intero documentario, la voce di Claudio Santamaria. “Claudio è stato estremamente disponibile con noi, si è appassionato da subito al progetto. Il fatto che un attore del suo calibro, da sempre impegnato in certe tematiche, abbia appoggiato la nostra iniziativa, ci ha dato una forte motivazione per andare avanti”. A parlare è Adriano Cutraro, uno dei tre registi, che ci racconta genesi e difficoltà di un lavoro complesso e delicato come questo.
Da dove è nata l’idea di un film come PIIGS?
Tutto è partito dal senso, che percepiamo ancora, di angoscia per una società straziata e senza futuro. La crisi del 2008 dagli Usa si è spostata in Europa, dove sono state applicate queste “ricette” miracolose per salvare la nostra economia, ma, nonostante i sacrifici che ci hanno chiesto, la situazione è solo peggiorata. Ci hanno chiesto di avere pazienza, ma gli anni sono passati e la crisi è diventata stagnante. La disoccupazione ha toccato cifre altissime e, secondo l’Istat, 4,6 milioni di italiani vivono in povertà assoluta. Nonostante le rassicurazioni, dunque, non c’è stata ripresa ma anzi, un peggioramento, che ha portato a una devastazione sociale che viviamo sulla nostra pelle. Con gli altri due registi mi sono chiesto se non fosse arrivato ormai il momento di indagare per cercare un punto di vista differente rispetto a quello che i giornali e le tv ci offrono, e abbiamo quindi iniziato a domandarci cosa potesse fare il cinema per questo scopo.
Come hai conosciuto gli altri due registi?
Con Mirko ho fondato la Studio Zabalik, la società di produzione che ha lavorato a PIIGS, e ho collaborato con lui anche per la direzione del mio precedente documentario, All’Ombra del Gigante. Con Federico ci siamo messi in contatto perché era tra i pochi registi interessati a questi argomenti. Quando gli abbiamo proposto il progetto lui ha accettato con entusiasmo. La collaborazione è partita da subito perché l’unione di intenti è stata immediata.
Quanto è durata la “gestazione” del film?
Circa 5 anni di ricerca, mentre le riprese effettive hanno richiesto 2 anni. Ci siamo documentati tantissimo prima di passare alla stesura della sceneggiatura.
Come vi siete mossi inizialmente? Chi avete contattato per primo?
Ci siamo resi conto che stavamo andando contro il pensiero più diffuso relativo alla situazione economica. Per offrire un punto di vista alternativo, che fosse però autorevole, avevamo bisogno di intellettuali ed esperti stimati in tutto il mondo. Il primo nome che ci è venuto in mente è stato dunque quello di Noam Chomsky. Ovviamente non è stato semplice arrivare a lui, ma c’è da dire che è stata una persona super disponibile. Il progetto che gli abbiamo presentato è stato da lui apprezzato sin da subito, ma abbiamo dovuto “rincorrerlo” per circa 6 mesi per potergli fare l’intervista. Dopo aver parlato con lui, ci si sono aperti nuovi orizzonti e da lì abbiamo iniziato a stilare un elenco di chi potesse fare al caso nostro.
Ovviamente dovevamo coinvolgere anche degli economisti, che dovevano essere di assoluto valore. Siamo andati dunque da Paul De Grauwe, uno dei più grandi monetaristi del mondo. Sapevamo che lui era molto critico nei confronti dell’impianto economico dell’Eurozona, e quindi per noi è stato naturale chiedergli di partecipare. Anche in questo caso, la sua analisi è stata sconvolgente.
Ed è a questo che puntate? A sconvolgere e a “svegliare” lo spettatore?
Anche, ma più di tutto vorremmo offrire un punto di vista differente e autorevole, capace di donare una prospettiva alternativa a tutto ciò che ci viene sempre propinato. Noi siamo costretti a rispettare i vincoli firmati nei trattati internazionali, che impongono di fare tagli di bilancio che vanno a colpire però solo le fasce sociali più deboli. Questi sacrifici, alla luce dei fatti, erano e sono davvero necessari? Con questo film vogliamo tentare di dare una risposta, di mostrare che un’altra strada è possibile e, anzi, doverosa.
Quali conseguenze pensi si possano verificare in seguito alla diffusione del vostro film?
Ci aspettiamo sicuramente stroncature da parte di chi non può accettare il nostro documentario per motivi ideologici, oppure perché ha a cuore determinati interessi. Spero però che il nostro lavoro possa essere lo spunto per avviare un dibattito serio e costruttivo. Abbiamo ricevuto diverse recensioni positive anche da parte degli europeisti più convinti, che hanno apprezzato la molteplicità degli orizzonti che il nostro lavoro è capace di aprire. Ci aspettiamo dunque che ci sia l’inizio di una riflessione, che qualcuno faccia un passo indietro. Vorrei ci fosse un dialogo onesto che prenda seriamente in considerazione le strade alternative che proponiamo. Come dice il giornalista investigativo Paolo Barnard, l’economia è tutto: non è una disciplina noiosa da divulgare solo in luoghi accademici, ma riguarda tutto ciò che fa parte della nostra quotidianità. I più elementari dei nostri diritti hanno bisogno di essere finanziati, e quindi è necessario sensibilizzare chiunque su questa tematica. Proprio come ci ha detto un altro importante giornalista, Federico Rampini: se non ti occupi tu stesso di economia, comunque l’economia si occuperà di te.
Capisco il vostro intento di rivolgervi a un pubblico più ampio possibile, senza quindi target specifici, ma credi che, vista comunque la particolarità dell’argomento, PIIGS possa essere un film appetibile per chiunque?
Noi ci siamo mossi per richiamare in sala la gente comune e tutti coloro che stanno vivendo sulla propria pelle i disastri causati dalle politiche di austerity. Dobbiamo finalmente prendere consapevolezza di cosa va chiesto a una classe dirigente, così saremo in grado di ottenere una classe politica preparata e adeguata, intenzionata soprattutto a fare i nostri interessi.
Quale linguaggio, quale modalità di racconto avete utilizzato per rendere le tematiche affrontate in PIIGS universalmente comprensibili?
Questo è un punto su cui tutti e tre abbiamo riflettuto molto. Per rendere cinematografica e comprensibile l’economia ci è voluto uno sforzo molto grande e, se il pubblico ci farà capire che ce l’abbiamo fatta, per noi sarà una soddisfazione davvero enorme. Abbiamo studiato un linguaggio accessibile a tutti e abbiamo agganciato all’analisi macro-economica una storia di vita reale: quella di una cooperativa di Monterotondo, “Il Pungiglione”, che, a causa dei tagli al welfare, è sull’orlo del fallimento. Si tratta di una cooperativa composta da 100 lavoratori che assistono 150 ragazzi disabili, ma ora tutto pare stia per finire. È una vera e propria bomba sociale che sta per innescarsi. Dal punto di vista narrativo, questo caso è stato un modello di racconto perfetto per spiegare in maniera ampia e soprattutto concreta cosa comportano le decisioni in materia economica che sono state prese per noi.
Durante le riprese non avete però incontrato solo intellettuali o esperti del settore, ma anche gente comune che sta soffrendo per questa crisi.
Infatti. Abbiamo incontrato operai, artigiani, padri di famiglia e altre persone che sono in una situazione di precarietà estrema. In loro, purtroppo, abbiamo visto tanta rabbia mista a rassegnazione, che li ha portati ad accettare con l’amaro in bocca la società che stiamo costruendo con la nostra passività. Non è stato semplice parlare con questa gente, ci ha fatto piuttosto male.
C’è qualche regista, qualche titolo a cui vi siete ispirati per concepire il vostro documentario?
Fondamentalmente tre. Sicuramente l’intera cinematografia di Michael Moore perché ci ha dato il coraggio di osare: quando affronti determinati argomenti, hai paura di usare l’ironia perché temi sempre di screditare un tema serio e autorevole. Lui ci ha invece dimostrato che così non è, se sai come utilizzarla, certo. Poi modelli di ispirazione sono stati anche i film Inside Job, di Charles Ferguson, e La grande scommessa, di Adam McKay. Per noi è stato molto importante avere questi titoli a cui ispirarci, visto che alcuni argomenti toccati da PIIGS o li affrontavamo con il linguaggio dell’horror o per forza di cose dovevamo ricorrere al sarcasmo. Inoltre era necessario “alleggerire” le tematiche affrontate, non farle passare per noiose o destinate a pochi.