SURVIVAL MOVIE AL FEMMINILE CHE GIOCA SULLA CARICA EMOTIVA DELLE DUE PROTAGONISTE
GENERE: drammatico, horror
DURATA: 87′
USCITA IN SALA: 25 maggio 2017
VOTO: 3,5 su 5
Lisa (Mandy Moore) e Kate (Claire Holt) sono due giovani sorelle in vacanza in una località marina in Messico. La situazione sarebbe ideale per svagarsi alla grande, ma Lisa è turbata per essere stata lasciata dal suo fidanzato. Kate, la più disinvolta delle due, cerca di farla divertire tra night club. In un locale conoscono due giovani messicani che propongono loro un’immersione in una gabbia in un luogo infestato da squali. Quella che doveva essere un’esperienza divertente e senza pensieri, quando Lisa e Kate si calano in mare dentro la gabbia per potersi godere la vista degli squali al sicuro della loro protezione. Per un problema tecnico, la gabbia precipita a 47 metri di profondità con soli 60 minuti di ossigeno e un mare infestato da grossi squali bianchi.
I survival movie al femminile sono di moda ultimamente: dopo Paradise Beach – Dentro l’incubo con l’algida Blake Lively, bloccata su uno scoglio nel mezzo del mare con un enorme squalo a minacciarla, 47 metri della Dimension Films propone due eroine al posto di una per uno shark movie che gioca sulla carica emotiva delle protagoniste. La storia resta la stessa, ma gli elementi in gioco si moltiplicano: due sorelle bloccate sul fondo dell’oceano e tanti squali affamati. Una situazione apparentemente impossibile, che fa eco al drammatico Open Water del 2004, senza dimenticare il lato umano delle due protagoniste. Fin dall’inizio 47 metri mette in chiaro le personalità agli antipodi di Lisa e Kate: la prima più matura, attenta, cauta e sensibile; la seconda giovanile, avventata e decisa.
Anche se di film sugli squali ne abbiamo visti a gran quantità, tanto che i cineasti hanno perso l’originalità del genere, la regia e la scrittura di Johannes Roberts (già apprezzato per l’horror sovrannaturale The Other Side of The Door) rendono 47 metri un buon film che riesce a tenere alta la tensione fino all’ultimo: lo spettatore non riesce minimamente ad immaginare quale sarà il destino delle sfortunate protagoniste. A ciò contribuisce anche la fotografia ad estraniare Lisa e Kate dal resto dell’ambientazione, in modo da farci comprendere l’incapacità umana di fronte la profondità oceanica.